Coronavirus e lockdown, le Pmi italiane riusciranno a ripartire?

Mentre il 2020 si avvia a conclusione, l’Ufficio Studi di BorsadelCredito.it traccia un bilancio sullo stato di salute delle Pmi italiane, per capire da dove si può ripartire per una possibile ripresa. Lo studio si basa sugli ultimi dati di Istat e Cerved–Confindustria, rilevati o pubblicati nel corso degli ultimi mesi.

Innanzitutto, secondo Istat, oltre la metà delle imprese (con il 37,8% di occupati) prevede una mancanza di liquidità per far fronte alle spese che si presenteranno fino alla fine del 2020. Il 38% (27,1% di occupati) segnala rischi operativi e di sostenibilità della propria attività e il 42,8% ha richiesto il sostegno per liquidità e credito. Non sorprende che oltre il 70% delle imprese (che rappresentano il 73,7% dell’occupazione) abbia dichiarato una riduzione del fatturato nel bimestre marzo-aprile 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019: nel 41,4% dei casi il fatturato si è più che dimezzato, nel 27,1% si è ridotto tra il 10% e il 50% e nel 3% dei casi meno del 10%; solo nell’8,9% delle imprese il valore del fatturato è invece rimasto stabile. Oviamente questo è un dato parziale, che non fornisce un quadro completo della situazione, ma indica semplicemente gli effetti del lockdown.

La crescita di fatturato e redditività aveva perso slancio già dal 2018

Il tema vero è che le imprese avevano smesso di crescere già prima del Covid. Questo si evince dal Report regionale Pmi 2020, realizzato da Cerved e Confindustria, secondo cui il Covid si innesta in un periodo di debolezza per le Pmi che, dal 2018, avevano praticamente interrotto la loro lenta ripresa per riagganciare i valori del 2008. Il report Cerved–Confindustria segnala che il fatturato 2018 era cresciuto del 4,1% in termini nominali (dal 4,4% dell’anno precedente), mentre le stime per i bilanci del 2019 indicano tassi di crescita dei ricavi più che dimezzati, a +1,3%. In tutte le aree, il valore aggiunto (+4,1%) è cresciuto nel 2018 a ritmi più ridotti rispetto al costo del lavoro (+5,6%). Numeri che hanno reso impossibile “recuperare il divario di redditività accumulato durante la lunga fase di recessione e stagnazione”: la redditività netta, infatti, misurata in termini di Roe, dopo il picco del 2017 (11,7%), è scesa all’11% nel 2018 e al 9,3% nel 2019.

L’impatto del Covid

Il Covid-19 avrà un impatto molto forte sui conti delle Pmi, con ricadute pesanti sugli indici di redditività. In uno scenario più tranquillo si stima una contrazione del fatturato del 12,8% nel 2020, con un rimbalzo nel 2021 dell’11,2% per una perdita di 227 miliardi di fatturato nel biennio 2020-21. E se continua la nuova ondata di Covid-19, il calo dei ricavi è stimato a -18,1% per l’anno in corso (+16,5% nel 2021), con minori ricavi che sfioreranno i 300 miliardi di euro.

È ovvio che questo potrà avere un effetto anche sulla dinamica demografica di impresa, che aveva visto anch’essa la fine del suo andamento positivo nel 2018, dopo una corsa ininterrotta dal 2013, anno in cui erano state introdotte le Srl semplificate. Nel 2019 le nuove società di capitali sono state meno di 93mila (-5,8%), mentre sono aumentati sia i fallimenti che le liquidazioni volontarie, che si erano dimezzate tra il 2012 e il 2017-2018. Nel 2019 entrambi gli indicatori risultano in crescita: i fallimenti del 12,4% (toccando quota 1.750) e le liquidazioni dell’1,7% a quota 3.858 (già in aumento del 7% dell’anno precedente).

La buona notizia, che Confindustria e Cerved non mancano di sottolineare, è che i fondamentali finanziari delle Pmi continuano a rafforzarsi, registrando una forte riduzione del peso dei debiti finanziari in rapporto al capitale netto, sceso nel 2018 al 63% (dal 66% del 2017 e dal 116% del 2007).

Pmi e debito

Il futuro, secondo gli autori dello stufio, si giocherà proprio su questo dato. Il maggior problema delle Pmi è oggi la liquidità, ma è possibile farvi fronte proprio perché, anche in un contesto di debole crescita di fatturato e redditività, i fondamentali finanziari hanno continuato a migliorare. Dunque, nella media, le imprese hanno la possibilità di richiedere un finanziamento. E possono così investire per far fronte alla crisi, nei modi che – come rileva Istat – stanno già attuando, ovvero, principalmente riorganizzando spazi e processi (23,2% delle imprese) e modificando o ampliando metodi di fornitura dei prodotti/servizi (13,6%).

Secondo gli analisti di BorsadelCredito.it, quello che è successo nel 2020 può avere l’effetto di una scossa e costringere le imprese a un cambiamento epocale: la pandemia ha dimostrato con i fatti che la digitalizzazione sia ormai una necessità e non è un caso che l’e-commerce sia stato, insieme ai dispositivi medicali, l’unico settore a crescere a doppia cifra, mentre gli altri perdevano altrettanto in termini di vendite. Tutte le imprese lo hanno compreso e stanno aggiungendo il canale digitale alla propria offerta. Ci saranno fallimenti, ci sarà una selezione, ma alla fine le Pmi che resteranno sul mercato saranno più forti e promettenti di prima. E il FinTech sarà al loro fianco per supportarle nel cammino.

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