Investimenti, l’alterna fortuna delle commodity

a cura di Giacomo Calef, country head Italia di NS Partners

I prezzi delle materie prime sono notoriamente volatili, riflettendo non solo le dinamiche tra domanda e offerta ma anche le ben meno prevedibili incognite geopolitiche e macroeconomiche. Dopo lo scoppio della pandemia, il forte rimbalzo della domanda aggregata aveva spinto molti analisti a credere che fosse iniziato un nuovo “superciclo delle commodities” (ovvero un decennio di prezzi crescenti delle materie prime). Tuttavia, sebbene molte commodities siano salite, per esempio il petrolio o il rame, altre sono crollate, come il nickel e i diamanti. Di conseguenza, le aziende minerarie hanno subito gli effetti nell’uno o nell’altro senso, scontando le precedenti scelte riguardo allo sfruttamento di una determinata materia prima. Le azioni delle big del settore minerario sono infatti molto volatili, in quanto la loro capacità di generare utili deriva quasi esclusivamente dalle quotazioni dei materiali che estraggono. Prezzi elevati significano molti utili e quindi alte remunerazioni per gli investitori e viceversa. Una società che ha sofferto in tal senso è Anglo American le cui azioni stanno scontando scelte strategiche errate ma anche cali dei prezzi delle relative commodities. La sua controllata De Beers è in particolare difficoltà a causa dei bassi prezzi dei diamanti mentre le vendite sono calate più delle attese. La società è stata quindi costretta a tagliare la produzione del 23% nel primo trimestre di quest’anno, riducendo i target a 26-29 milioni di carati rispetto ai precedenti 29-32 milioni.

Al contrario di Anglo American, altre società hanno sfruttato la crescita delle quotazioni di alcune commodities molto richieste. BHP e Rio Tinto, ad esempio, sono molto esposte sull’estrazione del rame, elemento fondamentale per la transizione energetica con la domanda che è attesa in crescita del doppio rispetto ai ritmi odierni entro il 2035. Ultimamente, i prezzi hanno toccato i massimi da due anni, a quasi $10.000/tonnellata, e questo ha amplificato i profitti, remunerando gli investitori attraverso dividendi e buyback azionari, che permettono di sostenere le quotazioni in Borsa.  Nonostante questo, su tutte le aziende del settore pesano i costi connessi con la transizione verde, che incombe sulle attività intensive di capitale come quelle minerarie. Le spese per raggiungere valori di emissioni neutre sono enormi e questo, nel lungo termine, privilegerà maggiormente le società che saranno in grado di mantenere elevati livelli di efficienza operativa.