“Alle crescenti preoccupazioni per il rallentamento della crescita in Cina è seguito un vortice di notizie che mettono a confronto la situazione del Paese alla stagnazione che ha travolto il Giappone negli ultimi decenni”. A farlo notare è Anne Vandenabeele, economista di Capital Group, che di seguito illustra nei particolari la propria view in merito.
In questo momento, una delle domande più frequenti sullo scenario macroeconomico globale è se la Cina si trovi già su questa strada e in che modo il Paese si possa sottrarre a questa sorte. “Giapponesizzazione” è un termine ampiamente utilizzato in questo dibattito e indica un periodo prolungato di deflazione, lentezza economica, crisi del mercato immobiliare e tensione sui mercati finanziari.
Se in ultima analisi il quadro della crescita di lungo termine e gli squilibri della Cina potrebbero non essere così gravi, la debolezza della fiducia e degli investimenti, associata all’attuale scarso potenziale degli incentivi, potrebbe creare lo stesso eccesso di capacità e lo stesso calo delle aspettative che ha causato questa spirale in Giappone. Finora le analisi hanno evidenziato le analogie più ovvie tra i due Paesi, tra cui i problemi demografici e la crisi immobiliare, ma hanno dedicato meno tempo a fattori quali gli investimenti, la produttività, gli incentivi e le aspettative, che hanno contribuito enormemente al declino pluriennale del Giappone. La storia del Giappone si snoda in tre parti, che possono essere messe a confronto con il caso della Cina.
Prima parte: rallentamento della crescita di lungo termine
In Giappone ci sono stati vari fattori che hanno frenato la crescita di lungo termine dagli anni ‘80, incluse le relazioni commerciali con gli Stati Uniti e un crollo della produttività. Al momento, la situazione della Cina sembra migliore: la crescita di lungo termine sta rallentando, ma probabilmente non così tanto. La Cina sta iniziando la sua transizione da una crescita trainata dagli investimenti che, se seguirà il modello giapponese, probabilmente si tradurrà in un rallentamento della crescita globale futura. Negli ultimi anni la Cina è cresciuta a un ritmo del 5-6% circa e i nostri economisti ritengono che d’ora in poi la crescita sarà più lenta.
Negli anni ‘70 e ‘80 c’è stato un rallentamento della crescita in Giappone, una volta terminata la ripresa post-bellica. Quando gli investimenti si sono interrotti, i consumi non hanno colmato il vuoto, causando una decelerazione della crescita globale.
Sebbene questo sia in parte ciò che succede quando un’economia matura, in parte è stato causato dalla politica, con deboli incentivi dopo la bolla dei prezzi delle attività degli anni ‘80 e la scelta di non riconfigurare l’economia in base a un modello basato sui consumi. In Cina, invece, gli investimenti in percentuale del PIL sono ancora vicini al picco del 45% e il calo strutturale di questa cifra non sarà rapido, dato che il Paese ha ancora bisogno di investire capitali a causa delle sue dimensioni e del suo stadio di sviluppo. Tuttavia, la crescita del capitale sociale cinese ha già subito un rallentamento. La Cina è in forma migliore anche sul piano delle esportazioni, grazie alla scala di produzione e ai costi bassi. Alla fine degli anni ‘90, il Giappone ha iniziato a perdere quote di esportazione a favore della Corea del Sud e di Taiwan in settori chiave, come quello dei semiconduttori, e questo ha frenato la crescita della produzione e delle esportazioni. Anche il fattore valutario ha contribuito, con il forte apprezzamento dello yen tra il 1985 e il 1995, che ha portato a ingenti adeguamenti commerciali.
Seconda parte: la ripresa anemica causa un eccesso di capacità
La lunga riduzione dell’indebitamento, i deboli incentivi e la lenta ripresa del Giappone hanno fatto languire la domanda, creando eccesso di capacità e deflazione persistente. Ancora una volta, anche se probabilmente in Cina gli squilibri sono meno gravi, la debolezza della fiducia, degli investimenti e degli incentivi potrebbero creare le stesse condizioni. C’è voluto troppo tempo per correggere i forti squilibri del Giappone negli anni ‘90, mentre i grandi eccessi del Paese e la debole risposta politica hanno creato eccesso cronico di capacità e deflazione. Sebbene gli squilibri della Cina siano differenti, la sua crisi immobiliare e il controllo statale più rigido (inclusa la politica COVID) hanno fortemente rallentato la crescita dal 2017 – e la capacità in eccesso e la deflazione continueranno a rappresentare un rischio, se gli incentivi resteranno deboli.
Partendo dagli squilibri ciclici, l’eccesso di investimenti residenziali in Cina sembra peggiore di quanto lo sia stato in Giappone: c’è ancora spazio per la crescita dell’urbanizzazione, ma potrebbe volerci ancora un po’ prima di riuscire ad abbassare gli elevati tassi di sfitto. Considerata la quota elevata di attività economica, il calo degli investimenti nel segmento residenziale sta già rappresentando un forte ostacolo.
Terza parte: danni di lungo termine e calo delle aspettative
Il lento recupero in Giappone ha portato a un calo delle aspettative e della produttività, che ha ulteriormente rallentato la crescita e favorito la deflazione. Dalle stime del Fondo Monetario Internazionale (FMI) emerge che la percentuale di società zombie sta aumentando in Cina, anche se i livelli sono ancora inferiori a quelli del Giappone degli anni ‘90. La distruzione della produttività è dovuta al fatto che sono le imprese statali meno efficienti a guidare gli investimenti, mentre le aziende private più innovative vengono escluse. Questo aumento della percentuale di imprese inefficienti è un rischio per la produttività e la crescita complessiva.
Con il rallentamento della crescita in Giappone, le aziende hanno progressivamente ridotto le aspettative e i tassi di investimento, il che ha portato a una crescita più lenta della produttività, alla riduzione degli aumenti dei salari reali, al peggioramento delle prospettive di crescita e così via, creando un circolo vizioso. Le aziende hanno faticato ad aumentare i prezzi e le famiglie hanno resistito agli aumenti, e le aspettative inflazionistiche sono diminuite per quasi 20 anni. Le aziende e le famiglie si sono abituate a prezzi stabili/in calo, hanno ritardato ulteriormente la spesa e il Giappone ha trascorso gran parte degli ultimi due decenni in deflazione.
Ancora una volta, questo trend potrebbe rappresentare un rischio per la Cina, a meno che non trovi dei modi per rendere più produttiva l’economia attraverso l’innovazione e le riforme, introducendo ulteriori incentivi e aumentando la fiducia delle famiglie e delle imprese. Nei prossimi mesi scopriremo se la Cina ha imparato la lezione dall’esperienza del Giappone o se il Paese è già sulla stessa strada.