Tassi di interesse, non è come nel 2013

“L’enfasi con cui Jay Powell ha recentemente placato la discussione sul cosiddetto ‘tapering’ (ovvero la riduzione graduale dello stimolo di politica monetaria) è stata notata sia da analisti che da investitori. La vecchia guardia del fixed income come il sottoscritto si ricorderà sicuramente degli eventi di quella estate del 2013. Vorrei però richiamare l’attenzione sulle differenze rispetto alla situazione odierna”. Lo afferma Alessandro Tentori, Responsabile Investimenti di Axa IM Italia. Di seguito la sua visione.

La differenza sta tutta nel driver dell’aumento del rendimento nominale dei Treasury americani. Nel 2013 fu l’aumento repentino e significativo del premio a termine a sospingere lo yield decennale verso il 3%. Questo parametro riflette tipicamente il profilo di rischio di una obbligazione governativa, infatti all’epoca gli investitori si mostravano preoccupati sia di un aumento dei tassi che della volatilità dei tassi stessi. Farei anche notare che le aspettative di inflazione non contribuirono all’aumento dello yield nominale. In sostanza, possiamo quindi dire che il nervosismo del mercato fu una funzione dell’aumento significativo dei tassi reali, vero barometro delle condizioni di politica monetaria.

A oggi la situazione è diametralmente opposta. Intanto il profilo di rischio dei Treasury è ancora molto modesto, cioè i premi a termine sono ancora negativi e vicini ai minimi storici. In secondo luogo – questa è la differenza cruciale – l’inflazione prezzata dai breakeven è aumentata di molto (+160 punti base sul decennale) dai minimi di Marzo 2020. Di conseguenza, i tassi reali rimangono “ancorati” al -1%, in modo da prevenire un cambiamento dell’orientamento monetario come nel 2013.

L’aumento delle aspettative di inflazione non mi sembra ancora preoccupante, se non altro per via del “freno a mano” tirato su possibili rialzi dei tassi. Non dimentichiamo che la nuova strategia di average inflation targeting della Federal Reserve non prevede un adeguamento di politica monetaria immediato in risposta a un aumento dell’inflazione, anche se oltre la soglia del 2%. Peraltro la view degli economisti di Axa IM – view che condivido appieno – presume un dominio dei fattori di disinflazione (e.g. trend demografici) nel medio periodo. È quindi improbabile un cambio di regime dei tassi di inflazione, da livelli compatibili con una narrativa di disinflazione a livelli invece più preoccupanti. Ciononostante, non rigetto nemmeno un dialogo su timing di una potenziale normalizzazione della politica monetaria, che comunque a detta di Jay Powell è prematuro e quindi non dovrebbe impensierire l’investitore obbligazionario per la maggior parte del 2021.

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