Mercati: il dato sull’inflazione tedesca stempera le preoccupazioni

Il dato preliminare di dicembre dell’inflazione su base annua della Germania è risultato minore delle aspettative (8,6% contro 9,1% atteso), a conferma degli attesi effetti sui consumi e sui costi dell’agire congiunto della BCE (sui tassi di interesse) e dei governi (sui costi dell’energia). Sulla base dei risultati finora disponibili, Destatis (l’ufficio di statistica federale tedesco) stima che il tasso medio annuo di inflazione per il 2022 dovrebbe attestarsi al +7,9%. Il dato lascia ben sperare sulla flessione dell’inflazione anche per l’Eurozona.

I mercati azionari l’hanno presa bene, mettendo a segno un’ulteriore performance positiva dopo quella del 2 gennaio, prima seduta dell’anno.

Abbiamo tuttavia notato un aumento volatilità, misurata dall’indice VIX cresciuto dell’8% circa a 23,4, probabilmente per effetto delle attese della disoccupazione Usa di dicembre (che sarà resa nota venerdì 6 gennaio), prevista invariata rispetto al 3,7% di novembre.

Passando all’Italia, il Financial Times ha riportato il risultato di un’intervista ad alcuni economisti relativamente alla sostenibilità del debito italiano alla luce dell’ulteriore stretta monetaria che la BCE ha prospettato.

A dare il via alla revisione del rischio Italia ha contribuito, poco prima di Natale, il nuovo programma di emissioni del Tesoro che ha portato da 278 a circa 320 miliardi di euro la quantità di bond che il Mef emetterà nel corso del 2023. Circa 90 sono i miliardi del fabbisogno statale e 260 circa i bond (al netto dei Bot, circa 140 miliardi nel 2022) che andranno in scadenza il prossimo anno. La palla al piede del debito circolante, 2.290 miliardi di euro, è pesante ed è inevitabile che la politica monetaria restrittiva della BCE andrà a influenzarne il costo.

Non è una novità che l’Italia già prima della pandemia fosse l’anello debole dell’Europa. E probabilmente continuerà ad esserlo ancora per un po’ di tempo. Ci sono però almeno tre risultati importanti che sono stati raggiunti negli ultimi anni.

Il primo è che il lavoro dei Governi che si sono succeduti negli ultimi dieci anni non ha mai perso di vista l’obiettivo di allungare la vita media del debito e ridurne il suo costo, tanto che fine dicembre la vita media risultava di 7,04 anni e il costo medio 1,32% (fonte MEF).

Il secondo risultato è che grazie all’Europa, esiste uno scudo anti spread pronto ad agire se la politica monetaria dovesse allargare gli spread tra i diversi paesi europei (così almeno ha detto la Lagarde).

Il terzo, è che è operativo un ingente piano di investimenti europei per circa 750 miliardi di euro (NGeu) che ha destinato all’Italia oltre 190 miliardi di euro (PNRR) che saranno investiti nei prossimi due/tre anni e che sono attesi portare il rapporto debito/PIL a livelli compatibili con una crescita economica di lungo periodo basata più sulla produttività che sul debito. Per chi ancora non l’avesse capito, è il new deal Italiano.

Per tutti questi motivi non siamo preoccupati più di tanto sulla sostenibilità del debito pubblico italiano. Siamo comunque vigili. Il che significa monitorare il lavoro del Governo sia sul numeratore (il debito appunto) che sul denominatore (il PIL) e liberare così importanti risorse per consentire una crescita della ricchezza del Paese.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim