Arrivati alla fine di aprile, inizia il ricorrente mantra legato all’adagio “sell in may and go away”. E l’S&P500, dopo aver speso tutto il mese intrappolato in un più che ristretto trading range nell’ordine del 2,5%, ha preso una piega negativa.
A innescare il ritorno dell’avversione al rischio, oltre al suddetto mantra, ci sono la ripresa delle incertezze legate alla dinamica delle politiche monetarie (si guarda con apprensione alla pubblicazione del PCE americano associato al dato sul PIL domani e in Europa crescono i commenti ufficiali legati a un potenziale rialzo dei tassi nell’ordine di 50 punti in occasione della prossima riunione) e il riemergere delle tensioni sul comparto bancario, con First Republic crollata ieri del 49% in scia a un massiccio calo nei propri depositi.
A coronare il tutto, anche i ricorrenti segnali di una potenziale recessione in vista, e la nutrita serie di licenziamenti annunciati in queste ultime giornate (Twitter, Amazon, Meta ed infine Disney ieri con circa 7.000 layoffs programmati) sembra indicare come la famigerata resilienza del mercato del lavoro americano che tanto infastidisce la FED sia destinata a terminare con una certa brutalità.
D’altro canto le prese di beneficio sono già in atto da qualche giornata sul comparto azionario asiatico che con la chiusura odierna si attesta ai minimi da un mese a questa parte; particolarmente colpiti gli indici cinesi sia a causa delle crescenti tensioni geopolitiche tra Pechino ed occidente che in forza di una ripresa post-Covid da parte del Dragone che stenta a manifestarsi.
Italia e ratings
Tornano poi le discussioni sul debito italiano: a quanto pare Moody’s si appresta a rivedere il nostro merito creditizio (attualmente Baa3 ovvero un livello sopra il “junk”) il prossimo 19 maggio con un downgrade che ci declasserebbe a livello “spazzatura”; un orientamento fortunatamente per ora non condiviso da S&P (che pare orientata a confermare BBB) e Fitch ma un indubbia bordata alla fiducia internazionale sul nostro debito, oltre che uno smacco pesante per il governo in carica.
Entrare nel novero dei “fallen angels” non è cosa da poco anche perchè dei 28 paesi “caduti” dal 1995 solo 12 sono riusciti a recuperare il livello di investment grade con tempistiche che variano dai 3 ai 14 anni e con processi di trasformazione politica ed istituzionale spesso radicali.
A cura di Michael Palatiello, ad e strategist di Wings Partners Sim