Investimenti: ora i riflettori sono sulla Bce

La disoccupazione USA ha fatto segnare venerdì scorso un incremento al 3,7% (dal 3,5%), riteniamo quale primo effetto del calo del PIL dei primi due trimestri, dovuto alla stretta monetaria. Parallelamente sono stati creati meno posti di lavoro (315mila) rispetto a quelli previsti (318mila).

I mercati l’hanno presa bene, complice anche la frenata del prezzo del gas in vista della ripresa del flusso di gas russo verso l’Europa (parzialmente gelata dalle dichiarazioni di Gazprom) e la crescita della partecipazione al lavoro che risulta di solo 1 punto percentuale al disotto del febbraio 2020. Dati, questi che farebbero propendere per una FED meno aggressiva del previsto.

Chiaro che ora diventa strategico, come abbiamo più volte messo in luce, il dato sull’inflazione atteso per il prossimo 13 settembre.

Alla luce della distensione delle catene di approvvigionamento, responsabili per il 2,5% – 3% della crescita dei prezzi e della riduzione del tasso di crescita dei consumi privati, è possibile che l’inflazione di agosto possa scendere al di sotto dell’8,5% registrato in luglio (8,1% la stima media di consensus). Anche se le attese dovessero essere corrette, non riteniamo che la flessione possa essere sufficiente per consigliare Powell ad alzare i tassi di 50 bp invece che 75 bp (piu volte ha ricordato, l’ultima a Jackson Hole, che la lotta all’inflazione è la priorità numero uno). Vedremo.

Nella settimana che si apre l’attenzione dei mercati è concentrata sulla BCE, che giovedì 8 settembre (data storica per l’Italia) annuncerà il rialzo dei tassi che, alla luce delle dichiarazioni dei membri del direttivo e dell’accelerazione oltre il consenso di mercato dell’inflazione in Eurozona ad agosto (9,1% da 8,9%) sono attesi crescere di 75 punti base.

Al di là dell’aumento, scontato dai mercati, gli operatori cercheranno di capire il grado di preoccupazione della BCE per la dinamica inflattiva, all’interno di un quadro complessivo in cui gli indicatori anticipatori segnalano un deciso rallentamento della crescita economica nei prossimi mesi. Difficile scelta quella della BCE, sempre più stretta tra il rigore a tutti i costi invocato dalla Germania che sperimenta l’inflazione più alta degli ultimi 70 anni, e manovre meno rigoriste al fine di smorzare quanto più possibile una recessione che si annuncia lunga e profonda.

Con la recessione alle porte è difficile ipotizzare un recupero stabile delle Borse nei prossimi 6-9 mesi, visto soprattutto il livello di negatività tornato a livelli molto alti (ovviamente non escludiamo qualche fiammata anche consistente di recupero, magari a seguito di buoni dati sull’inflazione). Fra un anno è probabile che avremo la recessione alle spalle.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim