“Il 2020 è stato finora un anno piuttosto turbolento per i mercati del credito e la volatilità a cui abbiamo assistito evidenzia la necessità di un’attenta selezione dei titoli bottom-up, sostenuta da una solida ricerca fondamentale. Le misure di sostegno senza precedenti introdotte da governi e banche centrali hanno contribuito a riportare la calma sui mercati creditizi e a ripristinarne il corretto funzionamento. Nonostante un lieve aumento della volatilità a settembre sui mercati finanziari nel loro complesso, la propensione al rischio nei mercati creditizi rimane a livelli nettamente superiori rispetto al periodo di massima crisi, con gli spread del credito in forte contrazione da allora. È indubbio che la pandemia abbia inciso pesantemente sulla qualità creditizia degli emittenti, aumentando il numero di declassamenti e fallen angel. Rispetto alle crisi del passato, le agenzie di rating sono state infatti molto più proattive, anche se il ritmo degli interventi sui rating ha poi rallentato. Le chiusure delle economie hanno contribuito a un rapido aumento dell’indebitamento delle imprese, mentre la flessione dell’attività economica ha compromesso l’andamento degli utili necessari a finanziare questo debito“. E’ l’analisi di di Jeremy Cunningham, Investment Director di Capital Group. Di seguito le sue osservazioni sul settore del credito aziendale.
Nel mercato statunitense i fallen angel hanno raggiunto i 160 miliardi di dollari Usa da inizio anno, in aumento rispetto ai 32 miliardi di dollari e ai 23 miliardi di dollari dei due anni precedenti, con la maggior parte dei declassamenti che si è concentrata tra febbraio e maggio, ben prima che fossero annunciati gli utili del secondo trimestre e si potesse valutare l’impatto complessivo del Covid-19. Mentre il mercato sta scontando un ulteriore incremento dei fallen angel nell’ordine dei 59 miliardi di dollari, alcuni operatori ritengono che questa stima possa essere eccessiva e che gli outlook delle agenzie di rating siano stati troppo pessimisti, dato che alcune ricerche sell-side hanno ad esempio ridotto a 32 miliardi di dollari le previsioni relative ai fallen angel per questo ciclo.
Dal mese di maggio, infatti, sono state relativamente poche le società declassate alla categoria high yield, ma questa tendenza potrebbe invertirsi rapidamente in caso di peggioramento delle prospettive economiche. Un altro aspetto positivo è che la quota del debito BBB, il rating più basso nel mercato obbligazionario statunitense di categoria investment grade, è diminuita da gennaio, sia a causa dei fallen angel che dei trend delle nuove emissioni. Nonostante la modesta flessione, si è comunque trattato di un cambiamento di direzione per questa metrica. Non bisogna tuttavia dimenticare che un discreto numero di società è ancora in difficoltà, soprattutto dove sono coinvolte le agenzie di rating, con ben 290 miliardi di dollari di obbligazioni con rating BBB- per cui si stima un outlook negativo. Gli investitori bottom-up concentrati sui fondamentali dovrebbero essere in grado di distinguere gli emittenti più robusti che hanno contratto un maggiore indebitamento da quelli che si trovano in reale difficoltà.
Analogamente, anche le società investment grade europee hanno subito un numero significativo di declassamenti e hanno registrato un aumento dei fallen angel che, da inizio anno, hanno raggiunto i 47,4 miliardi di euro, ovvero il 2,1% del nozionale investment grade. Tuttavia, questo dato è ancora molto lontano da quanto stimato anche a causa di una più rapida ripresa dell’economia, del sostegno fiscale al settore privato e delle iniziative intraprese dalle società, tra cui aumenti di capitale, cessioni di asset, tagli dei costi, tagli dei dividendi ed emissioni ibride. Senza dubbio ci attendono altri declassamenti in futuro; tuttavia, i segnali di ripresa dell’economia europea e il continuo sostegno monetario e fiscale potrebbero contribuire a minimizzare i danni.
Le società hanno adottato politiche prudenti basate sull’accumulo di liquidità e l’estensione delle scadenze di breve periodo che dovrebbero contribuire a garantire un certo grado di resilienza con la seconda ondata del virus o di qualsiasi altra potenziale difficoltà futura. Non è invece chiaro come saranno utilizzate queste riserve di liquidità: mentre il loro impiego per ridurre il debito e la leva finanziaria nel corso del tempo sarebbe positivo sotto il profilo creditizio, una loro distribuzione agli azionisti sotto forma di dividendi, riacquisto di azioni o M&A sarebbe penalizzante. Le iniziative a favore degli azionisti, in effetti, sembrano in ripresa. Le emissioni da inizio anno sono state particolarmente robuste, soprattutto nel mercato statunitense, dove le società hanno approfittato del ridotto costo del denaro per rafforzare i propri bilanci. Nonostante la netta contrazione degli spread creditizi dopo la forte volatilità di marzo, l’ingente volume della nuova offerta che il mercato ha dovuto assorbire ha in qualche modo frenato questa ripresa rispetto, ad esempio, a quanto accaduto sui mercati azionari. Con l’inizio dell’ultimo trimestre dell’anno, le emissioni dovrebbero rallentare.
La domanda relativa all’asset class è stata comunque robusta e positiva per il contesto tecnico. Uno dei principali motori trainanti della domanda di credito investment grade è l’ammontare dei titoli di Stato con rendimenti negativi o ridotti. In un contesto in cui la ricerca del rendimento è sempre molto viva e Fed, Bce e Bank of Japan prospettano tassi di riferimento vicini allo zero o negativi per diversi anni, è improbabile che questo quadro cambi in modo significativo nel breve e medio termine. Tuttavia, dato che persistono ancora molte incertezze e che i flussi retail, in particolare, sono molto condizionati dal momentum, non è escluso che torni a manifestarsi una certa volatilità. Ai livelli attuali, le valutazioni sono meno interessanti rispetto al livello raggiunto al culmine del periodo di volatilità all’inizio di quest’anno. Un approccio prudente è quindi imprescindibile, soprattutto in considerazione dei livelli di rischio e di incertezza che permangono, nonché dell’indebolimento dei fondamentali. Mentre il contesto tecnico rimane favorevole, la sfida è determinare l’entità di un’ulteriore contrazione degli spread derivante da fattori tecnici positivi.
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