Quello che i mercati si lasciano alle spalle è un anno molto complicato. Questo non impedisce, però, che il 2023 possa essere l’anno della svolta. Tuttavia, per poter cogliere le opportunità che si sono aperte, è necessario mettere a fuoco le ragioni che hanno portato i mercati a sottoperformare nel 2022.
In questo scenario, ecco di seguito l’outlook di Anima per i prossimi mesi.
“A nostro avviso, l’azione delle banche centrali sistemiche è il miglior fil rouge da seguire per leggere in chiave prospettica quanto accaduto. Il 2022 si è aperto con una loro maggiore determinazione nell’azione di contrasto all’inflazione rispetto all’anno precedente”, afferma Fabio Fois, Head of Investment Research & Advisory di Anima, che di seguito illustra nel dettaglio l’outlook.
Nulla, però, faceva presagire a inizio anno una reazione tanto aggressiva. A cosa si deve il cambio di passo? Principalmente a due elementi: uno più intuitivo, e forse più enfatizzato, dell’altro.
Il primo è sicuramente l’inflazione. A inizio 2022, le aspettative erano per un suo aumento, ma con tendenza al rientro. Con l’emergenza COVID in via di risoluzione, ci si attendeva che le pressioni sui prezzi dal lato dell’offerta si riducessero già nel primo semestre.
Quest’idea era riflessa nell’opinione dei principali analisti di mercato. A gennaio, secondo Consensus Economics, l’inflazione si sarebbe stabilizzata (su media annua) sugli stessi livelli del 2021, 5% negli USA e 3% in Area Euro. In linea con questo scenario, le curve dei mercati monetari prezzavano rialzi per “soli” 75 punti base negli USA e 10 punti base in Area Euro nell’intero 2022.
Lo scoppio della guerra in Ucraina a fine febbraio ha completamente stravolto questa visione. Una volta capito che non si sarebbe trattato di uno scontro “lampo”, le aspettative sull’inflazione sono aumentate drasticamente, e con esse l’intolleranza delle banche centrali. Già a maggio Consensus Economics prevedeva che l’inflazione sarebbe salita del 7% nel 2022 in entrambe le regioni. Per tutta risposta, le attese sul rialzo dei tassi di interesse hanno raggiunto i 300 punti base negli USA e 90 punti base nell’Area Euro.
A nostro avviso, però, anche la crescita economica ha giocato un ruolo fondamentale nello spingere le Banche Centrali ad assumere un atteggiamento sempre più intransigente. Come dimostrano i dati sui consumi, sia in termini nominali che reali, le famiglie americane ed europee hanno continuato a spendere nonostante l’aumento generalizzato dei prezzi.
Complici un mercato del lavoro molto solido, ampi risparmi, politiche di credito generose e un generale desiderio di “rivalsa” dopo quasi due anni di costrizioni imposte dalla pandemia, la forza dei consumi privati ha sorpreso i mercati. Quasi nessuno a inizio anno si sarebbe aspettato tanta solidità.
Questa resilienza si è rivelata particolarmente problematica per le Banche Centrali, che di fatto si sono trovate sole nella battaglia contro l’inflazione. Una lotta che fin da subito era chiaro sarebbe stata impari, a causa della natura largamente esogena dello shock inflattivo.
Contro un’inflazione (principalmente) da offerta, i rialzi dei tassi di interesse avrebbero potuto evitare che le aspettative sui prezzi si disancorassero, ma difficilmente avrebbero potuto innescare, a parità di condizioni di domanda, un rapido calo dell’inflazione realizzata. Per agire incisivamente contro l’inflazione sarebbe stato necessario un rallentamento importante dei consumi. Ma questo “supporto” non si è manifestato.
Cosa ci lascia questa rilettura degli sviluppi macro?
Principalmente due cose. Innanzitutto, la consapevolezza che quanto accaduto sui mercati era quasi impossibile da prevedere a inizio anno. Lato inflazione, la guerra fra Russia ed Ucraina ha modificato in modo netto le aspettative degli operatori. Tutto questo in un contesto di crescita che, nella sua componente di domanda domestica, ha mostrato come, all’indomani delle riaperture post-Covid, il desiderio di “rivalsa” dei consumatori sia stato più forte dell’inflazione stessa.
Quali, dunque, le implicazioni allocative?
Al netto di una fase di volatilità che accompagnerà il consolidamento del trend di rallentamento di inflazione e crescita, e del tempo che occorrerà sia alle banche centrali che agli investitori per acquistare fiducia nel loro cambio di direzione, gli sviluppi macro da noi attesi dovrebbero in primo luogo favorire i comparti obbligazionari, specie quelli meno vulnerabili all’indebolimento del ciclo economico. In corso d’anno, quando la fase peggiore del rallentamento sarà alle spalle, si profileranno opportunità importanti anche sulle asset class rischiose. Sarà auspicabilmente un anno meno complesso e imprevedibile, un anno in cui con un approccio misurato ed equilibrato si potrà tornare a estrarre valore dai mercati finanziari.
Asset allocation: l’outlook
Azionario Globale – Nel 2023 la volatilità resterà elevata, specie nella prima parte dell’anno, quando l’economia dovrebbe rallentare ulteriormente anche negli Stati Uniti. Le condizioni diventeranno più favorevoli nel secondo semestre, con lo scenario macro in miglioramento e banche centrali più accomodanti. Raccomandiamo un’allocazione bilanciata, con una crescente preferenza verso i settori più difensivi; una volta intravisto il bottom di mercato, dovremmo tornare a riacquistare i settori ciclici, in particolare finanziari, industriali e tutti i cosiddetti early cyclicals. I Paesi emergenti potrebbero finalmente tornare a performare, sostenuti dalla ripresa cinese e dalle aspettative di indebolimento del dollaro.
Obbligazionario Governativo Paesi sviluppati – Dopo il violento riprezzamento del 2022, le prospettive per l’asset class appaiono più favorevoli, grazie all’interruzione del ciclo di rialzi da parte delle banche centrali nel secondo trimestre, al calo dell’inflazione (seppur al netto della volatilità di inizio anno), e a un rallentamento pronunciato della crescita. Siamo più costruttivi sui Treasury che sui Bund. La performance dei BTP rimarrà legata principalmente alla politica monetaria della BCE.
Obbligazionario Governativo Paesi emergenti – Con la crescita americana meno brillante che nel 2022 e l’inflazione ancora sotto i riflettori, il 2023 si presenta sulla carta come un anno non particolarmente propizio per il debito emergente. Tuttavia, un’opportunità d’acquisto potrebbe profilarsi verso metà anno, quando l’economia americana dovrebbe uscire dalla recessione tecnica e la Federal Reserve annunciare il pivot della politica monetaria.
Obbligazionario Corporate – I primi mesi dell’anno potrebbero restare complessi, ma successivamente le obbligazioni societarie beneficeranno tanto del calo di volatilità e pressioni al ribasso sui tassi governativi, quanto della prospettiva di una ripresa economica, dopo una recessione che si confermerà breve e di lieve entità. Le opportunità sono più nitide nel comparto investment grade, che offre valutazioni assolute e relative interessanti ed è meno vulnerabile al deterioramento delle metriche di credito; in ambito high yield è sempre più importante il focus sulla selezione degli emittenti.
Valute – Dopo un anno in cui il dollaro è stato protagonista indiscusso dei mercati valutari, nel 2023 la fine del ciclo di rialzi della Federal Reserve permetterà il riemergere di trend valutari meno univoci. Siamo costruttivi su euro, yen e renmimbi, mentre sulla sterlina manteniamo un giudizio più neutrale. Il rallentamento della crescita globale e la persistenza di rischi geopolitici continueranno comunque a offrire un discreto supporto al dollaro.