Asset allocation, 2023: quattro consigli per gli investitori

“Le economie occidentali vivranno un 2023 di stallo, ma con diverse sfumature”. Parola di Alessandro Tentori, CIO di Axa IM Italia, che di seguito illustra nel dettaglio l’outlook per il prossimo anno.

Mentre la recessione (se ci sarà) è destinata a rimanere trascurabile negli Stati Uniti, l’Eurozona dovrà fare i conti con una retromarcia dello 0,3%, che a sua volta rappresenta una “media di Trilussa” tra il -0,6% della Germania e la crescita zero di Francia e Italia. Se la progressione del Pil globale resta onorevole (+2,3% il prossimo anno, in accelerazione a +2,8% nel 2024) il merito è dei Paesi emergenti, in particolare la Cina, che balza dal 3% di crescita di quest’anno al 5% del 2023 e al 4,8% del 2024.

Il Dragone non ha praticamente inflazione, utilizza bene la politica monetaria, sta lentamente uscendo dal Covid e ha abbandonato il deleveraging aggressivo dell’anno scorso sul settore immobiliare candidandosi a diventare la vera locomotiva economica globale del prossimo biennio.

Un’inflazione dura a morire

Nel 2023 AXA IM prevede un’inflazione ancora alta sia negli Stati Uniti (al 5,1%) che nell’Eurozona (5,6%): se infatti quella complessiva (la “headline”) tende a scendere, la “core” che non comprende energy e food fatica a calare, in particolare in Europa.

Stretta monetaria e target dei tassi d’interesse

Secondo il nostro Outlook il punto d’arrivo dei tassi di deposito dovrebbe attestarsi al 5% per la Federal Reserve (Fed) e al 2,5% per la Banca centrale europea (Bce). Il target di entrambe è un punto percentuale più alto degli attuali livelli. Ma la partita è ancora molto aperta e tutto potrebbe cambiare nei prossimi mesi, a seconda dei capricci dell’inflazione. Intanto in Giappone si attende la fine del mandato del governatore della Bank of Japan, Haruhiko Kuroda, per capire se la politica monetaria del Sol Levante cambierà rotta. Tokyo, comunque, si muoverà con prudenza e AXA IM non prevede rialzi dei tassi nipponici nel corso del 2023.

Terreno minato per le banche centrali

Al di là delle stime di AXA IM, resta l’incognita di quanto in là potrebbero spingersi le banche centrali nella stretta per combattere l’inflazione. «Il rischio è che finiscano per esagerare, in particolare la Bce che ha iniziato ad alzare i tassi in ritardo rispetto alla Fed. Quella dell’Eurozona è una situazione complessa, resa ancora più intricata da nuove forme di frammentazione legate all’energia. A Francoforte alcuni membri del Consiglio direttivo della banca centrale considerano il 2% quale tasso target: ma con gli attuali livelli di inflazione di circa il 10% si rischia di restare ancora in un territorio di tassi reali negativi che non può durare per sempre.

In Italia i nodi del debito e dell’avanzo primario

Per il nostro Paese il tema centrale resta il debito pubblico. Con l’aumento dei tassi il costo delle nuove emissioni di titoli di Stato è balzato in alto: se il fenomeno fosse di breve durata resterebbe controllabile, considerata la “vita lunga” del debito italiano, ma se perdurasse nel lungo termine il rating tricolore potrebbe subire pericolosi tagli. Per tenere sotto controllo il debito è necessario un avanzo primario di almeno l’1%, altrimenti si rischia il cosiddetto “effetto snowball”, con tassi d’interesse più alti della spesa nominale. L’avanzo primario però negli ultimi anni è stato troppo spesso negativo, anche prima del Covid. Cruciali, in questo senso, sono le politiche fiscali e la lotta all’evasione, fermo restando che durante una recessione è impossibile mantenere un avanzo primario positivo. Per il momento comunque continua la luna di miele tra il Governo Meloni e i mercati, in attesa di capire quanto sarà profonda la recessione in Europa e quanto si riveleranno seri i problemi segnalati da alcuni ministri nell’implementare il Pnrr (il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza finanziato da Bruxelles).

Valute e superdollaro

Vediamo le valute. Il 2022 è stato l’anno del superdollaro, irrobustito dalla rapidità della stretta monetaria della Fed, dal differenziale dei tassi rispetto alla Bce e dalla natura di valuta rifugio del biglietto verde. L’anno prossimo però la divisa statunitense è destinata a frenare la sua corsa: il differenziale dei tassi infatti potrebbe non rappresentare più un driver di investimento, mentre il rischio geoopolitico legato alla guerra in Ucraina è stato già prezzato, con i portafogli ribilanciati a dovere. Questo non significa che avremo un dollaro debole: la valuta statunitense potrebbe perdere decisamente terreno soltanto in caso di tregua in Ucraina e di contemporaneo stop ai rialzi della Fed. Quanto allo yen, se la Bank of Japan dovesse cambiare rotta iniziando una stretta e la banca centrale statunitense fermare il rialzo dei tassi, avremmo una performance spettacolare della valuta nipponica.

Materie prime, nuova fiammata?

Se questo è stato l’anno della vendita delle riserve strategiche di petrolio statunitensi e dei lockdown cinesi anti-Covid, il 2023 sarà caratterizzato dalla necessità di Washington di ricostituire le scorte e dalla progressiva fine delle chiusure decise da Pechino per contrastare la pandemia. Il tutto potrebbe portare a brutte sorprese con possibili nuove vampate dei prezzi delle commodities, in particolare quelle energetiche. Un ritorno di fiamma dell’inflazione che rischia di prolungare la stretta delle banche centrali.

Quattro consigli per gli investitori

Come investire nel 2023 in mercati così complessi e imprevedibili? Un primo punto fermo è che le obbligazioni, oggi, hanno più valore di un anno fa, con cedole che alla luce dei rialzi dei tassi sono diventate interessanti. Sull’azionario vanno sovrappesati gli Stati Uniti, in particolare nei settori value come bancari, energia, beni di consumo di base e farmaceutici. In un portafoglio equilibrato non va dimenticata la Cina, mentre è da sottopesare un’Europa in cui le incognite recessione, guerra e tassi hanno ancora un ruolo rilevante. I titoli growth, come quelli tecnologici, potrebbero continuare a soffrire la stretta monetaria nel breve termine. Tutti restano in attesa del mitico pivot, il target finale del rialzo dei tassi, il punto di svolta che potrebbe far ripartire con decisione le Borse. Ma bisogna fare i conti con l’inflazione, che in caso di nuova vampata dei prezzi delle materie prime potrebbe riservare brutte sorprese.