Pandenomics: prospettive dopo lo shock secondo Credit Suisse

A cura di Credit Suisse

A causa del lockdown dell’economia globale, il 2020 verrà ricordato come un anno storico, caratterizzato da una parabola economica davvero unica. Nel 2° trimestre si è verificata la più forte contrazione trimestrale del prodotto interno lordo (Pil) globale mai registrata, seguita dalla più netta ripresa trimestrale mai registrata quando, nel 3° trimestre, le restrizioni del lockdown sono  state allentate e sono stati introdotti stimoli fiscali e monetari. Tuttavia, quando la pandemia di Covid-19 ha rischiato di sfuggire a ogni controllo, i politici di tutto il mondo hanno adottato una strategia “shock and awe” (dominio rapido) per gestire le conseguenze economiche di questa emergenza sanitaria.

Cosa rende questa situazione unica? In una “normale” recessione i settori ciclici dell’economia, come quello edilizio, subiscono una contrazione, mentre il settore dei servizi reagisce meglio. In questo caso, invece, l’impatto ha investito contemporaneamente i settori produttivi ciclici e l’economia dei servizi, con conseguenti fluttuazioni estreme dell’attività economica. Questo scenario è raro.

Negli Usa una contrazione dei servizi si è verificata solo tre volte negli ultimi 70 anni: nel 1973, nel 2008 e nel 2020. Durante la recessione del 2020, i settori ciclici hanno subito un rallentamento perché la chiusura di interi Paesi ha interrotto le catene di approvvigionamento. Nell’economia dei servizi molti settori hanno subito un arresto nei periodi di lockdown, dal momento che le attività “normali” (es. la gestione di un salone di bellezza o di un ristorante) sono diventate rischiose per clienti e collaboratori. Questo spiega anche la forte ripresa una volta rimosse le restrizioni, con il ripristino delle catene di approvvigionamento e la riapertura di attività con le nuove limitazioni di sicurezza imposte dal Covid-19. I notevoli stimoli fiscali e monetari hanno fornito ulteriore sostegno alla ripresa.

Un altro insolito aspetto macroeconomico della recessione del 2020 è stato l’aumento parallelo dei tassi di risparmio di Stati Uniti, Europa e Asia. Programmi di assistenza sociale e fiscale hanno sostenuto il reddito delle economie domestiche durante i lockdown, portando la spesa per consumi a livelli superiori a quelli consueti. Tuttavia, poiché la spesa per i servizi (a differenza della spesa per beni fisici) è stata limitata per effetto del distanziamento sociale, le famiglie sono anche riuscite a risparmiare a tassi elevati. Di conseguenza, i bilanci familiari sono migliorati in modo netto, una situazione insolita in fase di recessione. Un ulteriore aumento della spesa sarà probabile se continua ad aumentare il numero di ore di lavoro e a diminuire la disoccupazione, e la spesa per i servizi riprenderà al termine della pandemia.

Penalizzazione dei salari

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil) stima che durante il lockdown del 2° trimestre sia stato perso oltre il 15% delle ore di lavoro a livello globale, pari a oltre 500 milioni di posti di lavoro. Nei soli Usa, oltre 21 milioni di persone hanno perso il loro posto di lavoro all’apice della crisi, nei mesi di marzo e aprile. Anche il mercato del lavoro in Europa ha registrato forti flessioni in termini di ore, ma una minore perdita di posti di lavoro, dal momento che i governi hanno introdotto programmi di lavoro ridotto. Attraverso l’adesione a questi sistemi, le società possono ridurre le ore di lavoro dei loro collaboratori e il governo integra la differenza di stipendio, solitamente fino a una soglia massima dell’80%.

Anche le economie asiatiche e i mercati emergenti con elevato tasso di occupazione nel settore pubblico hanno mantenuto livelli di occupazione relativamente stabili durante la crisi. Tuttavia, i Paesi con basso livello di protezione sociale (Usa e alcuni mercati emergenti) hanno registrato notevoli turbolenze sui mercati del lavoro, con un’ondata di licenziamenti durante il lockdown, seguita da assunzioni durante la ripresa. Alla data di redazione, la situazione del mercato del lavoro globale è nettamente migliorata rispetto ai livelli minimi del 2° trimestre, ma la disoccupazione è rimasta significativamente più elevata rispetto a prima della pandemia.

È probabile che nei prossimi mesi, con l’attenuarsi dell’iniziale effetto positivo della riapertura delle attività, il tasso di riassunzione rallenti. Dal momento che ci vorrà tempo prima che l’economia raggiunga i livelli di attività pre-pandemia, è probabile che i tassi di disoccupazione rimangano elevati per i prossimi due anni. Tuttavia, non si tratta necessariamente di uno sviluppo permanente. Nelle regioni con mercati del lavoro relativamente liberi e flessibili, come gli Usa, la disoccupazione dovrebbe recuperare stabilità anche se la produzione rimane al di sotto dei livelli pre-pandemia. Il persistere della sottoccupazione potrebbe ostacolare la crescita dei salari, anche se è probabile che in Europa e in Giappone specifiche normative limiteranno il problema.

Distruzione creativa e produttività

Uno shock come la pandemia di Covid-19 influisce anche sulla produttività. Ne è una prova il dato sulla crescita della produttività del lavoro, ovvero la crescita reale del Pil meno la crescita reale delle ore effettive di lavoro. Durante la pandemia, la produttività del lavoro ha subito un balzo, dal momento che il numero di ore effettive di lavoro è calato più della produzione. Tuttavia, con il ritorno dei lavoratori alle loro occupazioni, questa tendenza dovrebbe registrare un’inversione e la produttività dovrebbe rallentare. Occorre anche tenere presente che la produttività è sempre molto volatile nel breve periodo. Sul lungo periodo, la pandemia potrebbe migliorare la produttività, almeno in alcuni settori.

Il lockdown ha prodotto numerose trasformazioni che, probabilmente, incentiveranno nuovi modelli di business, come la medicina online e nuovi metodi di lavoro. Sebbene queste trasformazioni comportino costi a breve termine, nel lungo periodo l’adozione di modelli di business emergenti può generare efficienza, soprattutto se aziende e governi investono nei settori giusti, come l’infrastruttura digitale.

Banche centrali in surplace

Con i salari sotto pressione e/o – a seconda della regione – l’aumento della disoccupazione, l’inflazione sembra destinata a rimanere contenuta. Prevediamo un’inflazione globale del 2,3% nel 2021 – inferiore al livello pre-pandemia del 2,5% del 2019. Negli Usa, prevediamo per il 2021 un’inflazione dell’2,0%, contro lo 1,0% dell’eurozona e il 2,5% della Cina. Questi bassi livelli di inflazione significano che le banche centrali non si affretteranno ad aumentare i tassi d’interesse. Durante il lockdown, la Federal Reserve statunitense (Fed) ha seguito l’esempio delle altre principali banche centrali e ha tagliato i tassi a livelli prossimi allo zero e, inoltre, sono stati rilanciati o estesi importanti programmi di acquisto di attività. L’obiettivo era abbassare ulteriormente i tassi d’interesse reali per sostenere la ripresa economica.

Secondo le nostre previsioni, nessuna delle grandi banche centrali alzerà i tassi di interesse nel 2021 e, probabilmente, per molto tempo ancora. In realtà, qualora la crescita dovesse vacillare o l’inflazione stentare a crescere, potremmo assistere addirittura a un aumento degli acquisti di attività.

Un futuro fiscale incerto

Mentre gli effetti della pandemia dovrebbero contribuire a mantenere l’inflazione sotto controllo nel 2021, sono meno chiare le conseguenze a lungo termine della crisi sull’inflazione. Con il passare del tempo, è probabile che assisteremo a una crescita dei disavanzi pubblici e del debito pubblico. Questa destabilizzazione delle finanze pubbliche può causare l’inflazione, ma solo se le banche centrali sono inefficaci o inattive nel reagire alle pressioni inflazionistiche future. Ciò potrebbe accadere, per esempio, se le banche centrali cedessero alle pressioni esterne o se iniziassero a consentire che i timori per il debito pubblico influenzino le decisioni sui tassi. Questo è un elemento di rischio per il periodo post Covid-19.

Non possiamo escludere la possibilità che le banche centrali ricevano pressioni per finanziare programmi fiscali troppo ambiziosi. Oppure, semplicemente, le banche centrali potrebbero reagire in ritardo o in modo insufficiente alla crescita dell’inflazione. Tuttavia, l’adozione da parte della Fed di un obiettivo di inflazione medio non limita la sua capacità di reagire tempestivamente a una rapida impennata dell’inflazione. In Europa, questa evenienza è resa particolarmente improbabile dalla costituzione della Banca Centrale Europea (Bce). Nei Paesi con un elevato debito pubblico, le banche centrali hanno maggiore difficoltà a combattere l’inflazione, piuttosto che la deflazione. Ciò è dovuto al fatto che l’inflazione rende più semplice la gestione di un elevato indebitamento, mentre la deflazione la rende più complessa.

Di conseguenza, quando l’economia è debole, le banche centrali diventano sempre più disponibili e propense ad adottare misure di politica monetaria non ortodosse come il quantitative easing, tassi d’interesse negativi o il controllo sulla curva dei rendimenti allo scopo di evitare la deflazione piuttosto che inasprire la propria politica monetaria in seguito a un aumento dell’inflazione. Pertanto, per assolvere alle loro funzioni, le banche centrali si trovano in una posizione delicata. Per il momento è troppo presto per valutare tali tail risk, ma gli investitori dovrebbero prestare attenzione alla sostenibilità delle finanze pubbliche.

L’eredità del debito

Durante la crisi, molti Paesi hanno implementato misure di stimolo fiscale pari al 10% del Pil o oltre. Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), entro la fine del 2020 il rapporto fra il debito pubblico e Pil supererà il 130% negli Stati Uniti, il 160% in Italia e il 260% in Giappone. Sebbene l’aumento del debito sarà sempre più motivo di preoccupazione per i responsabili politici, in assenza di una piena ripresa economica aumenteranno le richieste di ulteriori misure di stimolo fiscale. Negli Usa, ulteriori stimoli saranno di portata limitata dato il mancato raggiungimento di maggioranze nette al Congresso da parte dei democratici. Tuttavia, alla luce della prevista ripresa dell’economia mondiale e della ridotta probabilità di ulteriori lockdown totali per il Covid-19, ulteriori misure di stimolo di entità paragonabile a quelle del 2020 appaiono piuttosto improbabili.

Indipendentemente dall’andamento dell’economia globale, il debito pubblico elevato continuerà a rappresentare una sfida per i responsabili politici. Finché i tassi d’interesse saranno prossimi o pari agli attuali valori minimi, il debito rimarrà sostenibile. Tuttavia, i governi saranno vincolati nel contrastare eventuali recessioni future e nel finanziare spese a sostegno della crescita. Di conseguenza, il debito elevato probabilmente costituirà una delle eredità più durature e gravose del Covid-19.

Il protezionismo è destinato a perdurare

Secondo le nostre stime, negli ultimi 20 anni la produzione industriale della Cina è passata dal 5% al 30% della produzione mondiale, mentre la quota degli Usa è scesa dal 25% al 18%. Molti politici occidentali si sono impegnati a sostenere le esportazioni locali, la capacità produttiva e l’occupazione, ma è altamente improbabile che la portata di tali misure possa produrre un rapido aumento della quota di produzione globale degli Stati Uniti o dell’Europa. Tuttavia, le barriere e i conflitti commerciali, già in aumento dal 2016, sono destinate a perdurare. Anche se appare improbabile che aumentino i dazi tra le economie occidentali e, di fatto, è in corso un accordo commerciale tra Uusa ed  Europa, le tensioni nel settore tecnologico e degli investimenti potrebbero perdurare o persino peggiorare.

In risposta, la Cina sta realizzando significativi investimenti nel settore dei semiconduttori per ridurre la propria dipendenza da altri partner commerciali meno disponibili. Ciò potrebbe produrre una duplicazione delle catene di approvvigionamento. Le tendenze protezionistiche potrebbero aumentare anche nel settore farmaceutico, dal momento che diversi gruppi di interesse sostengono che la crisi provocata dal Covid-19 dimostrerebbe la necessità di produrre le risorse strategiche a livello nazionale. Sarebbe preferibile un approccio che garantisca la disponibilità di risorse diversificate a livello globale per le future crisi sanitarie, attraverso accordi multilaterali o bilaterali.

Il destino degli investimenti finanziari è legato all’inflazione

Per gli investimenti finanziari e gli investitori è fondamentale stabilire quale regime di inflazione prevarrà nei prossimi anni. Per la maggior parte dei Paesi sviluppati ed emergenti, una headline inflation tra lo 0% e il 4% rappresenta un regime d’inflazione moderato. In tale regime, le azioni tendono a registrare un’outperformance rispetto alle obbligazioni. In regimi di inflazione elevata (di norma quando la headline inflation è superiore al 7,5%), le azioni non generano più rendimenti assoluti positivi, mentre le obbligazioni tendono a registrare una performance negativa. In regimi di deflazione (headline inflation negativa) le obbligazioni sovraperformano le azioni.

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