La forte volatilità che negli ultimi mesi ha interessato il mercato azionario tende a far perdere di vista i fondamentali dello stesso, che sono gli utili. E’ infatti noto come nel medio e lungo periodo la crescita/flessione degli utili e quella dei prezzi siano positivamente correlate. Esiste un indicatore che mette a confronto i prezzi del mercato con gli utili delle società: il P/E, ovvero il prezzo diviso gli utili. Anch’esso però soffre della volatilità propria del mercato, avendo come numeratore i prezzi, che cambiano tutti i giorni e al denominatore gli utili che gli analisti aggiornano almeno due volte l’anno. E tende poi a soffrire dell’inflazione, vera spina del fianco delle banche centrali e dei mercati.
Per questo motivo, anziché utilizzare il P/E come semplice rapporto, in un’analisi di lungo periodo è più significatovo utilizzare il rapporto CAPE (Cyclically Adjusted Price Earnings) o Shiller P/E Ratio. L’indicatore è simile al normale P/E, ma invece di utilizzare i dati sugli utili più recenti, il CAPE ratio è calcolato utilizzando il prezzo corrente diviso i guadagni medi nei 10 anni precedenti aggiustati per l’inflazione. I razionali fondamentali economico-finanziari del CAPE ratio derivano dalla considerazione che la redditività di un’azienda è determinata in misura significativa dai numerosi fattori che determinano il ciclo economico. Durante le espansioni, i profitti aumentano notevolmente poiché i consumatori spendono più soldi, ma durante le recessioni i consumatori acquistano di meno, i profitti precipitano e possono trasformarsi in perdite.
Mentre le oscillazioni degli utili sono molto più ampie per le aziende nei settori ciclici, come materie prime e finanziari, rispetto a quelle in settori difensivi come servizi pubblici e farmaceutici, poche aziende possono mantenere una redditività costante di fronte a una profonda recessione. Poiché la volatilità degli utili per azione si traduce in rapporti di P/E, che rimbalzano in modo significativo, è utile utilizzare una media di reddito di lungo periodo.
Allo scopo di verificare se l’indice S&P 500, rappresentativo del mercato USA, sia o meno sopravvalutato (stiamo parlando del lungo periodo), abbiamo calcolato la media del CAPE ratio con dati trimestrali dal 2009 al 2021, confrontandola con il dato di ieri, fine maggio. Ciò che è emerso dall’analisi è che a ieri il CAPE ratio risultava marginalmente superiore (8%) alla sua media di lungo periodo: 29,5x contro una media di 27,2x.
Il che non significa che l’S&P deve scendere dell’8% per adeguarsi alla media. E questo per due motivi. Il primo è che non sappiamo se in questo momento il mercato stia scontando gli utili 2023, oppure un mix tra questi e quelli del 2024. Il secondo riguarda un aspetto fondamentale che il modello non considera, che è il premio per il rischio richiesto dagli investitori. Questo dipende da diversi fattori, come per esempio l’evolversi della guerra. Il CAPE ratio ci dice che in questa fase il mercato è sostanzialmente attendista e non ha ancora preso una direzione precisa.
Esistono una serie di altri indicatori della tendenza di lungo periodo. Uno di questi è il Buffett Indicator. Quest’ultimo riflette la valutazione complessiva del mercato azionario USA. Il Buffett Indicator è uno strumento di gestione del rischio piuttosto che uno strumento di market timing. È un indicatore per gli investitori a lungo termine. L’indicatore è espresso come valore aggregato delle azioni USA quotate, in percentuale del PIL.
Ci sono due modi per considerare il livello di questo indicatore. Il primo è guardare semplicemente la percentuale assoluta. Quando ha proposto questo indicatore, Buffett ha affermato che dal 70% all’80% era un buon livello per acquistare azioni e che al 200% “stai giocando con il fuoco”.
In termini assoluti, il rapporto ha toccato picchi prossimi al 100% negli anni ’60, al 150% nel 2000 e oltre il 200% nel 2021. I minimi degli anni ’70 e ’80 sono stati prossimi al 40%, nel 2009 l’indicatore è sceso a 56% e a marzo 2020 è sceso a circa il 125. Questi livelli indicano chiaramente il modo in cui l’indicatore ha avuto una tendenza al rialzo nel tempo.
Il secondo approccio consiste nel confrontare l’indicatore con la sua media storica in termini percentuali o deviazioni standard dalla media. Questo approccio spiega il fatto che l’indicatore ha avuto una tendenza al rialzo nel lungo termine. In termini relativi, le valutazioni si sono rivelate troppo elevate quando l’indicatore è vicino a 2 deviazioni standard, ovvero dal 50% al 60%, al di sopra della media di lungo periodo. La media a lungo termine per l’indicatore Buffett è ora intorno al 120%. Questo potrebbe essere considerato un “valore equo” per il mercato azionario. I livelli più bassi per l’indicatore sono stati da 1 a 1,5 deviazioni standard o dal 40 al 50%, al di sotto della media a lungo termine. Tuttavia, anche i corsi azionari hanno registrato minimi importanti quando l’indicatore era pari o appena al di sotto della media di lungo termine.
L’indicatore ha raggiunto il picco di quasi due deviazioni standard sopra la media quando il mercato ha raggiunto il picco nel 1968 e nel 2000. Ha raggiunto lo stesso livello nel 2021, anche se potrebbe essere troppo presto per definirlo un importante punto di svolta del mercato.
Chiaro che a questo punto vi chiedere qual è il valore dell’indicatore oggi. Ebbene è a 153%, quindi in termini di deviazione standard non particolarmente elevato. Possiamo dire in fase attendista anche questo.
Cercando di riassumere il tutto, crediamo di poter dire che il mercato azionario USA non ha ancora preso una direzione precisa e attende di capire quali potrebbero essere le mosse future della FED: il rialzo dei tassi effettivamente si ferma e poi questi diminuiranno, oppure riprenderanno a crescere? L’una o l’altra soluzione che cosa significano per l’economia?
A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim