Mercati alle prese con un possibile cambio di scenario

Sta iniziando ad aumentare il consenso tra gli analisti che, malgrado la più intensa campagna restrittiva monetaria da almeno un decennio a questa parte, le economie possano comunque mantenere una traiettoria espansiva. I dati di ieri sembrano confermare l’idea, con le maggiori economie europee che mettono a segno un solido rimbalzo come misurato dai PMI manifatturieri e dei servizi (l’indice composito delle 20 economie dell’area Euro sale al ritmo più veloce dal maggio 2020) e parimenti in USA i dati preliminari relativi ai PMI, trainati più che altro dalla componente servizi, battono nettamente le attese con l’indice composito che torna in espansione a febbraio (50,2) contro il 46,8 in territorio recessivo del mese precedente.

Il fatto che le economie mondiali possano sostenere un livello dei tassi nettamente più elevato non dovrebbe essere una notizia negativa no? Se non fosse per il fatto che la resilienza mostrata dalle economie lascia le porte aperte alla prosecuzione di quei processi di restrizione monetaria che vanno dal rialzo dei tassi per combattere l’inflazione, alla riduzione dei
bilanci delle banche centrali fino a ripensamenti da parte dei governi sulla necessità di offrire un supporto sul fronte fiscale.

In questo contesto, e guardando di fatto alla FED (ed in seconda battuta alla BCE che ormai fa “copia ed incolla” di tutto quello che arriva dalla banca centrale al di la dell’Atlantico anche perché insomma, la Lagarde riesce a far rimpiangere anche Trichet), non solo l’idea di un “pivot” con conseguente taglio dei tassi nel secondo semestre perde appeal, ma si concretizza anche l’eventualità che i tassi possano salire oltre le previsioni attuali e li rimanere per un periodo di tempo indefinito.

Il tutto con la consapevolezza oltretutto che gli effetti delle politiche monetarie sull’economia non sono immediati, e possono avere un “lag” che può estendersi anche a 12 mesi, e se analizziamo le varie indicazioni provenienti dai più disparati settori, notiamo che questa robustezza potrebbe essere solo tranistoria, ovvero il canto del cigno prima di quella involuzione recessiva che tutti davano per scontata solo fino a qualche settimana fa (non era la recessione più scontata della storia?).

I mercati ieri accusano pesantemente il nuovo cambio di narrativa, con lo S&P500 in flessione del 2% (peggior ribasso da dicembre) ed il Dow Jones che brucia tutti i guadagni del 2023; di contro il tasso biennale sui Treasury si porta ai massimi dal 2007 mentre le proiezioni incorporate nei Fed Funds indicano ora un picco dei tassi al 5,3% a giugno contro il 4,9% prezzato solo qualche giorno fa.

L’evaporazione dell’entusiasmo associato al rally che ha caratterizzato questo avvio d’anno è ancor più evidente nelle proeizioni degli analisti; ora sono tutti ribassisti, chi meno (Jp Morgan, o BofA che vede un ribasso nei listini del 7% entro inizio marzo), chi più (Morgan Stanley si spinge ad ipotizzare una contrazione dello S&P nell’ordine del 26% entro il primo
semestre)…come sempre banderuole che seguono la corrente prevalente (potevano dirlo un paio di settimane fa no?). Inutile dire che le minute dell’ultima riunione della FED in pubblicazione oggi verranno passate ai raggi x per captare la futura direzione della politica
monetaria americana.

A cura di Michael Palatiello, ad e strategist di Wings Partners Sim