Investimenti: sull’azionario è sempre una questione di timing

Dopo un disastroso primo semestre, e mentre lo scenario economico si deteriora nei paesi sviluppati, la prudenza dovrebbe spingere verso una cessione degli attivi rischiosi in attesa di una tregua. Ma la prudenza è sempre buona consigliera?” Si pone la questione Laurent Denize, global CIO di Oddo BHF AM.

Sui mercati azionari il timing è fondamentale

I timori di vedere le economie sviluppate entrare in recessione si sono acutizzati, con l’indice manifatturiero americano ISM sceso a quota 53 (era a 56.1 a maggio), penalizzato dalla contrazione dei nuovi ordinativi e del mercato del lavoro. Quanto alle borse, l’S&P e gli indici europei sono in calo di circa il 20% da inizio anno. Dopo questo calo importante, tutto sta nel capire se oggi il mercato premia abbastanza il rischio.

Negli USA, assegniamo una probabilità di recessione del 40% (30% di recessione benigna, 10% di forte recessione) e il 60% di probabilità di un rallentamento dell’economia per i prossimi 12 mesi. Nel caso di uno scenario che evita la recessione, pensiamo che il mercato celi una forte capacità di ripresa. Soffermiamoci sulla tendenza dei utili per i prossimi 12 mesi.

Abbiamo già sottolineato che i margini di profitto americani sono particolarmente elevati e che finiranno per ridursi. Tuttavia, pensiamo che questi aggiustamenti avverranno meno rapidamente di quanto non prevedano gli investitori al momento. In effetti, nel lungo periodo, l’evoluzione dei risultati delle società che compongono l’S&P500 è trainata principalmente dal settore delle tecnologie informatiche. Ora, il settore tecnologico è oramai dominato da monopoli naturali (aziende che godono di effetti di rete e di forti economie di scala). Il rafforzamento dei regolamenti eroderà la loro presa nel tempo, ma probabilmente si tratterà di un processo lento.

Sempre nel lungo periodo, la tendenza all’aumento dei margini di utile al di fuori del settore tecnologico è meno impressionante. Il rallentamento dell’economia è accompagnato da un calo nei prezzi delle materie prime industriali e agricole, che consente alle aziende dei settori difensivi con margini lordi solidi, come l’agroalimentare o le bevande, di conservare livelli di margini ragionevoli. Al contrario, è vero che le società dei settori con margini lordi meno consistenti, come la distribuzione o i materiali edili, si confrontano alla doppia sfida di gestire un pricing power limitato e un probabile calo dei volumi.

Alla fine, i margini delle aziende americane dell’S&P500 dovrebbero calare, pur mantenendosi a livelli ragionevoli nei prossimi 12 mesi.

In Europa, il calo dell’Euro sostiene chiaramente le esportazioni e consentirà di limitare la flessione delle trimestrali del secondo trimestre. Il calo rischia di farsi sentire maggiormente nel terzo trimestre. Anche in questo caso, però, il peggio non è ancora certo poiché le società confermano al momento libri di ordinativi pieni e una forte capacità di aggiustare i propri prezzi per compensare in larga parte l’inflazione delle materie prime. Occorre prevedere potenziali movimenti sociali e stipendi in aumento, ma gli effetti si faranno sentire solo più avanti nell’anno, se non nel 2023. La situazione in Ucraina resta il rischio principale per l’Europa. L’interruzione o una continua riduzione delle forniture di gas possono rimettere in discussione l’evoluzione delle trimestrali delle aziende. In conclusione, sui mercati azionari constatiamo che le valorizzazioni iniziano ad integrare scenari di grande stress. Malgrado sia troppo presto per riposizionarci significativamente, i punti d’ingresso sono vicini.

Ancora un po’ presto sul credito

Gli spread high yield implicano che il mercato sconta un tasso di default del 7-8% nei prossimi 12 mesi. Nella peggiore delle ipotesi, l’agenzia di rating Moody’s lo valuta al 6%. A marzo 2020, il mercato lo stimava al 12%. Una parte dei rischi è quindi chiaramente nei prezzi. Occorre notare che, al momento, il tasso di rendimento assoluto è superiore al 7,50%. Storicamente, a questo livello, la probabilità di generare un rendimento positivo nei prossimi 12 mesi supera l’80%. D’altro canto, un tasso del 7,5% consente di generare un carry sufficiente a sostenere uno scarto supplementare degli spread di circa 250 punti base… ovvero i livelli più elevati raggiunti 2 anni fa.

Per concludere, pensiamo che il mercato dell’high yield abbia bisogno di un’ultima resa affinché le ultime mani deboli (acquirenti opportunistici) siano sostituiti da investitori con una visione più strategica. Solo allora avrà raggiunto premi di rischio sufficienti per stabilizzarsi e ritrovare fondamentali sani.

Vicini ai punti d’ingresso

Con l’inizio di luglio ci sentiamo un po’più costruttivi. È vero, i dati macroeconomici non annunciano nulla di buono, ma la divergenza di politica monetaria e fiscale in Cina e in Giappone dovrebbe consentire di limitare il rallentamento della crescita globale. La resilienza delle società è impressionante, ma sarà più che altro la resilienza dei consumatori ad essere messa alla prova. Anche se il risparmio abbonda, le categorie meno abbienti e che rappresentano la maggior parte della popolazione subiscono la forte erosione del loro potere d’acquisto. Colpo d’aria o tempesta sul consumo? Difficile dirlo. Ad ogni modo, ci avviciniamo ai punti d’ingresso, sia nei mercati azionari che nell’High Yield. I rischi, ovviamente, sono sempre presenti, ma la ritorni rispecchiano già in parte le numerose incertezze. La debole liquidità dei mesi estivi può provocare mini shock di mercato, che possono essere sfruttati per un riposizionamento più significativo. Nell’attesa, vi auguriamo una splendida estate.