Investimenti: ora la parola d’ordine è “diversificare”

«Spesso la ricerca del timing perfetto porta in errore»

“Geopolitica, COVID e inflazione rendono l’attuale quadro economico e geopolitico estremamente incerto. Ma per gli investitori che hanno liquidità, tolleranza al rischio e un orizzonte di medio-lungo termine, l’attuale incertezza potrebbe essere un’opportunità“.L’avvertimento arriva da Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS WM Italy, che di seguito spiega nel dettaglio la view.

Infatti, il mercato azionario si trova su multipli inferiori alle medie di lungo termine, mentre i rendimenti obbligazionari sono interessanti: questi due fattori insieme creano le condizioni per buoni ritorni nel lungo termine per un portafoglio bilanciato.

Se prendiamo come riferimento il mercato azionario statunitense, i multipli prezzo/utili sono scesi di oltre il 30% nell’ultimo anno e si trovano ora su un livello che storicamente ha portato a rendimenti annui tra il 7% e il 10% nel decennio successivo. L’indice MSCI All Country World – che rappresenta le borse globali includendo anche i mercati emergenti – tratta a un multipli prezzo/utili di 15,4x, ben sotto la media degli ultimi 10 anni.

Analoghe considerazioni potrebbero valere anche per gli investimenti in capitale di rischio al di fuori della Borsa, come il private equity, almeno per quanto riguarda i nuovi investimenti. Per quelli effettuati prima della correzione, le valutazioni correnti degli investimenti già effettuati subiranno l’impatto della discesa dei multipli – un impatto talvolta più che proporzionale per via della leva finanziaria.

Se prevalesse lo scenario di una decelerazione economica controllata potremmo assistere a una progressiva stabilizzazione con un parziale recupero del mercato azionario nei prossimi mesi, man mano che il quadro economico e geopolitico diverrà più chiaro.

E se anche si dovesse assistere a una recessione tecnica, probabilmente l’impatto non sarebbe così severo. Se guardiamo agli Stati Uniti, hanno attraversato 17 recessioni negli ultimi 100 anni; una decina di queste ha prodotto contrazioni del PIL inferiori al 3% – quindi recessioni abbastanza leggere, non crisi – e il mercato azionario in media è sceso dell’11%.

Anche i rendimenti del mercato obbligazionario sono elevati. Mediamente i rendimenti dei titoli di Stato sono a livelli che non si vedevano dal 2018 e quello del Treasury statunitense a 5 anni è nettamente sopra la media dell’ultimo decennio. Non si possono escludere nuove correzioni, ma nel passato investire con rendimenti simili ha consentito di raccogliere buoni ritorni a medio termine.

Inoltre, occorre considerare che in caso di recessione le banche centrali potrebbero tagliare i tassi o quanto meno fermare i rialzi e quindi le obbligazioni potrebbe reagire positivamente mitigando l’effetto negativo sui portafogli, diversamente da quanto avvenuto nel primo semestre di quest’anno.

Del resto, aspettare un quadro economico roseo spesso non è la strategia migliore, perché il mercato anticipa ogni evoluzione e quando lo scenario si fa sereno tipicamente ha già raggiunto valutazioni più elevate. Cercare di indovinare il timing perfetto è un esercizio complesso e, spesso, anche quando sembra di esserci riusciti il risultato può essere inferiore a un approccio più orientato al lungo termine.

Molti investitori potrebbero pensare che le analisi sopra riportate siano solo teoriche, a maggior ragione viste le incertezze sul futuro. A questo riguardo c’è un esempio che trovo eloquente. Un investitore che a partire dal 1960 avesse investito sull’indice statunitense S&P 500 un capitale iniziale di 100 dollari dopo ogni correzione del 10% per prendere profitto dopo che il mercato ha realizzato nuovi massimi oggi avrebbe 534 dollari. A prima vista potrebbe sembrare una strategia azzeccata, ma lo è un po’ meno sapendo che un investitore che avesse impiegato lo stesso capitale e fosse rimasto costantemente investito durante tutte le crisi degli ultimi 60 anni oggi avrebbe 43.223 dollari: 80x di più.

Inoltre, un’ampia diversificazione su asset class diverse rimane la strada più sicura in uno scenario incerto. In caso di stagflazione la liquidità soffrirebbe meno di azioni e obbligazioni, ma se si verificasse una recessione le obbligazioni con scadenze non brevi potrebbero fornire un riparo. E se invece, come ci aspettiamo, non si verificasse una recessione, sarebbe l’azionario a recuperare.

Per quanto discusso, nelle fasi di forte incertezza come quella attuale la strategia migliore spesso è non tradire la propria asset allocation strategica, ovviamente con alcuni adattamenti al contesto.

Per esempio, in presenza di un’elevata volatilità avere a disposizione una buona liquidità evita di dover vendere nel momento sbagliato asset le cui valutazioni potrebbero aver sofferto. Da questo punto di vista, considerando i recenti aumenti dei rendimenti, l’obbligazionario con scadenze a 2-3 anni può rappresentare un buon parcheggio per la liquidità destinata a soddisfare le possibili uscite di cassa.

Nel comparto azionario, la combinazione di tassi più alti ed elevata inflazione favorisce i titoli value (cioè con un rapporto prezzi/utili non elevato) e quelli che distribuiscono buoni dividendi. Nel frattempo, il ribasso dei listini potrebbe offrire l’opportunità di costruire un’esposizione di lungo termine all’azionario, sia quotato che privato.

È importante considerare che si ottengono benefici nel diversificare anche da un punto di vista temporale, vale a dire investire in periodi distanti tra loro diversificando i vintage, per riprendere una terminologia utilizzata nel mondo del private equity ma che può essere applicata anche ai mercati quotati.