Investimenti: l’outlook di Oddo Bfh AM

Dopo quattro mesi particolarmente sfiancanti per i nervi degli investitori, il mercato è entrato in una fase di lateralizzazione caratterizzata da una volatilità sempre elevata. Di fronte a questa situazione, ecco di seguito la view e l’outlook di Laurent Denize, Global CIO di Oddo BHF AM.

Il mercato azionario europeo scambia con multiplo di 12,7x gli utili a 12 mesi, ovvero con uno sconto del 13% rispetto alla media decennale (14,5x). Il recente de-rating (calo del coefficiente P/E) rispecchia il fatto che gli investitori prendono in considerazione l’aumento dei rendimenti obbligazionari e le fuoriuscite massicce di capitali provocate dalla guerra in Ucraina. Un “Bear market” (ribassista) per le azioni, mentre attraversiamo un “Bull market” per gli utili. Il mercato ci ha ormai abituati alla contraddizioni e ci torneremo.

Quali sono i potenziali catalizzatori in grado di ridare agli investitori la voglia di rischiare?

Una de-escalation del conflitto Russia-Ucraina potrebbe sostenere l’appetito per le azioni europee. Invece di elaborare scenari più o meno tangibili sull’evoluzione del conflitto, tentiamo di concentrarci sui 3 principali catalizzatori che potrebbero far tornare l’appetito per il rischio agli investitori.

  1. Un notevole calo dell’inflazione che comporti una politica meno austera da parte delle banche centrali. Questo catalizzatore appare evidente, considerando come l’inasprimento delle condizioni finanziarie ha depresso gli operatori
  2. Una ripresa dell’economia cinese trainata da una riapertura e da un evidente stimolo fiscale. Gli utili europei in effetti sono particolarmente esposti alla crescita cinese, sia direttamente con i redditi generati in Cina, che indirettamente con la catena d’approvvigionamento. Per questo, la riapertura progressiva di Shanghai è una buona notizia e le recenti spese infrastrutturali dovrebbero contribuire a sostenere l’economia cinese e, di conseguenza, il consumo di prodotti europei.
  3. Aziende che riescono a mantenere i propri margini, smentendo i pronostici più negativi. Il consenso prevede che l’utile per azione delle aziende europee aumenterà del 13% in media quest’anno e del 7,6% se escludiamo i settori legati alle materie prime. Si tratta di dati nettamente superiori a quelli di inizio anno, quando si prevedeva un aumento massimo del 7%. Tuttavia, la traiettoria dell’economia e soprattutto l’applicazione di una politica monetaria meno accomodante ci convince ad essere più prudenti del consenso. Certo, se l’economia europea non dovesse cadere in forte recessione, c’è la possibilità che l’ondata di deterioramenti prevista non si verifichi, poiché la compressione dei margini potrebbe essere parzialmente compensata da redditi più significativi. Dobbiamo però chiarire che, se il crollo dei prezzi tramite la valorizzazioni è probabilmente finito (siamo vicini al picco d’inflazione), il rischio che si trasformi in un calo giustificato dalla flessione negli utili è sempre più probabile. Più rapido sarà il calo dell’inflazione, più miglioreranno le valorizzazioni grazie al calo dei tassi. Ma, se il calo dell’inflazione significa anche recessione, gli utili ne risentiranno parecchio e faranno molto più che semplicemente compensare l’effetto positivo dei tassi.

Non è sempre questione di recessione

Per ora, non esiste ancora un consenso su una recessione globale dell’economia. Purtroppo, però, non è necessario che l’economia entri in recessione per osservare un calo negli utili. Perché? La risposta sta nel concetto di leva operativa. Le vendite possono essere volatili, ma i costi (dominati dagli stipendi) sono fissi e ci mettono molto più tempo ad adattarsi. Se la crescita delle vendite è superiore a quella dei costi, l’effetto leva sulla crescita degli utili diventa considerevole. È la magia dell’effetto della leva operativa. Se però avviene il contrario, la magia diventa incubo. L’effetto della leva operativa s’inverte e gli utili crollano. Oggi quindi raccomandiamo di limitare il peso delle società più cicliche, ad eccezione di quelle di servizi, che approfitteranno moltissimo della riapertura dell’economia dopo l’ondata Omicron.

È troppo presto per riposizionarsi in modo significativo sulle azioni europee L’Europa è già in stagnazione e sull’orlo della recessione nei prossimi trimestri. L’aumento dei costi delle materie prime e il potenziale incremento negli stipendi mostrano che l’erosione dei margini è già in atto. Per ora, le società esportatrici, molto presenti negli indici, hanno approfittato di un effetto di cambio favorevole che ha permesso loro  di limitare l’impatto e ha fatto parlare poco i manager. Ma è un albero che nasconde la foresta e una rivalutazione dell’euro è possibile se i tassi monetari tornano in territorio positivo.

In questo senso, l’unico segnale di “valorizzazione” non autorizza un riposizionamento significativo sui mercati azionari europei. Se torniamo ai nostri 3 criteri di “lancio”, almeno 2 dei tre criteri non sono presenti. Avevamo invece raccomandato di riposizionarsi sulle azioni cinesi, forse un po’ troppo presto, ma restiamo convinti di questa scelta. I

n un mese, l’MSCI CHINA sale del 6,85%. Occorre ancora rafforzare, poiché a 10,4x gli utili, il mercato cinese ha raramente offerto uno sconto simile rispetto ai mercati sviluppati e dovrebbe approfittare della riapertura dell’economia cinese nelle prossime settimane. I tre criteri sono quindi presenti, considerando che la politica della banca centrale cinese sostiene le aziende, in particolare quelle del segmento immobiliare, in difficoltà da un anno a questa parte. Sulle obbligazioni, constatiamo una pausa nell’aumento dei tassi (come previsto), ma che deve essere sfruttata per rivendere gli attivi meno liquidi. L’high yield non offre ancora un rapporto rischio/rendimento allettante.

Dovremo acquistare solo se entriamo in recessione, e non ci siamo ancora. E se non si manifesta la recessione? Se le banche centrali riescono nell’impresa di un atterraggio morbido? Allora sì, avremo un segnale forte di acquisto, soprattutto per le azioni. Nell’attesa, restiamo leggermente sottopesati, preoccupati da una certa compiacenza degli analisti sull’impatto della decelerazione dell’economia sui profitti, e certi che le banche centrali non si scosteranno dalla loro volontà di “rompere” l’inflazione. L’inasprimento delle condizioni finanziarie e il forte arretramento delle liquidità sul mercato restano purtroppo i criteri chiave della nostra allocation. Dopo il calo di inizio anno, però, rifanno capolino aree d’investimento ad hoc.

Avevamo parlato di alcuni titoli tecnologici americani nel nostro ultimo editoriale, i titoli cinesi vanno a completare le nostre aree di diversificazione. Ci sono ancora molti mesi da qui a fine anno…