Investimenti: le implicazioni dell’euro debole

Il recente calo dell’euro al di sotto della parità rispetto al dollaro ha generato timori in merito a crescita economica, politica e inflazione in Europa. Il calo al di sotto di questo livello dovrebbe preoccuparci? E soprattutto, questo giustifica un riesame delle prospettive di crescita, inflazione o politica dell’Europa? Prova di seguito a dare delle risposte Aaron Hurd, Senior Portfolio Manager di State Street Global Advisors.

Implicazioni per l’Europa

A prima vista, l’evento ha un impatto minimo sulle prospettive dell’Europa. Infatti, è il dollaro ad essersi costantemente rafforzato piuttosto che l’euro ad essere estremamente debole. In altre parole, sebbene attualmente il cambio EUR/USD si attesti circa l’11% al di sotto della sua media quinquennale, il dollaro si sta rafforzando rispetto a tutto, tranne rispetto ai beni reali e servizi. L’apprezzamento relativo del dollaro da un lato comporta un aumento del costo delle importazioni statunitensi e un’indesiderata crescita dell’inflazione, dall’altro migliora anche l’attrattiva relativa delle esportazioni dell’Unione Europea verso gli Stati Uniti.

Detto questo, gli Stati Uniti sono solo uno dei partner commerciali dell’UE, quindi l’impatto della debolezza dell’euro sulla crescita e sull’inflazione dell’eurozona è determinato più che altro dal valore dell’euro su base ponderata rispetto a tutti i suoi partner commerciali. Su questa base, l’euro è solo del 4,3% al di sotto della media quinquennale e metà di questo calo è avvenuto dopo il 27 giugno.

Il deprezzamento dell’euro a 0,90-0,95 è da tenere in considerazione

Ciò non significa che il recente deprezzamento dell’euro debba essere ignorato. Le condizioni sono molto complesse e riteniamo che ci siano due ragioni fondamentali che possono giustificare un aumento del rischio che l’euro scenda nell’intervallo 0,90-0,95. Il più importante è il rischio di un’interruzione quasi totale delle forniture di gas russo. La Russia ha già ridotto le forniture di gas del 60% e, non essendoci segnali che fanno sperare che la fine del conflitto tra Russia-Ucraina e delle relative sanzioni sia vicina, non si possono escludere ulteriori riduzioni.

In secondo luogo, un ampliamento degli spread del credito periferico è un rischio significativo che fa rivivere i timori di un’altra crisi del debito nell’UE. In questo contesto, l’annuncio della Banca Centrale Europea (BCE) del nuovo TPI (Transmission Protection Instrument) per “contrastare dinamiche di mercato ingiustificate e disordinate che costituiscono una seria minaccia alla trasmissione della politica monetaria” assume un’importanza rilevante. In pratica, la BCE acquisterebbe debito sovrano per contenere i forti aumenti negativi degli spread creditizi. Tuttavia, anche se la nuova politica riduce probabilmente le possibilità di una crisi del debito che minacci l’esistenza dell’euro, come temevano gli investitori durante la crisi del debito del 2011-2012, lascia ancora molto spazio all’ampliamento degli spread del credito sovrano dell’UE e a periodi di maggiori timori degli investitori.

Insieme, questi due shock eurocentrici coinciderebbero probabilmente non solo con un altro deprezzamento di oltre il 10% dell’euro rispetto al dollaro, ma anche con un più ampio calo del valore ponderato al commercio della valuta.

Opzioni della BCE e potenziali scenari a medio termine

La BCE ha poco potere per sostenere la valuta nel caso si verificassero le circostanze sopra descritte. Una recessione indotta dal razionamento delle forniture di gas sarebbe di tipo inflazionistico, e se la BCE dovesse rimanere cauta o rendere le condizioni più accomodanti per sostenere la crescita, perderebbe credibilità sull’inflazione e l’euro ne risentirebbe. D’altro canto, se la BCE dovesse alzare i tassi per combattere l’inflazione e sostenere la valuta, gli investitori potrebbero temere una recessione ancora più profonda, con la conseguenza che l’euro tornerebbe a soffrire.

L’intervento per l’acquisto diretto dell’euro è un’opzione, ma è una mossa sensibile dal punto di vista politico ed è improbabile che sia efficace data l’entità degli shock macro. Riteniamo sia poco probabile che la BCE intervenga anche se l’euro dovesse scendere a 0,90. Ai livelli attuali, l’euro ponderato per il commercio non è abbastanza debole da giustificare un dibattito sugli interventi o una revisione delle previsioni di inflazione. Per questi motivi riteniamo che i rischi dell’euro siano più bassi.

Se il gas russo continuerà a fluire al ritmo attuale e gli spread periferici rimarranno contenuti – più ampi per riflettere i crescenti rischi economici e l’inasprimento delle politiche, ma senza salire a livelli da panico – allora l’euro rimarrà probabilmente nel range registrato di recente, presumibilmente tra 0,98 e 1,04 rispetto al dollaro. Se la Fed raggiungerà il picco dei tassi e l’inflazione si abbasserà a livelli ritenuti accettabili, ci aspettiamo che l’euro risalga a quota 1,08 o addirittura sopra la soglia di 1,10 rispetto al dollaro.

Prospettive a lungo termine

Sul lungo termine, nei prossimi 3-5 anni, le prospettive sono più costruttive. Le famiglie sono in possesso di risparmi in eccesso, i bilanci delle imprese sono buoni, il tasso di disoccupazione è ai minimi storici dall’avvento dell’euro ed è probabile che in uno scenario di recessione si assista all’introduzione di un sostegno fiscale. L’eurozona è ben posizionata per minimizzare i danni permanenti di una recessione. Potrebbero volerci 2-3 anni, ma alla fine l’UE sostituirà l’energia proveniente dalla Russia e ricostruirà le scorte. Questo potrebbe essere un elemento abbastanza positivo in termini di stabilità a lungo termine delle forniture.

Al contempo, gli investimenti in settori quali tecnologia green, digitalizzazione e semiconduttori potrebbero contribuire a migliorare le prospettive di crescita a lungo termine dell’Eurozona. Anche i flussi di capitale potrebbero migliorare, in quanto i tassi di interesse della BCE si stabilizzeranno in territorio positivo e il prossimo ciclo di ripresa economica incoraggerà una serie di afflussi nei mercati azionari europei, relativamente più economici.

Ci aspettiamo che tutti questi fattori positivi si manifestino nel contesto di un più ampio indebolimento del dollaro, che attualmente è vicino ai massimi da 30 anni rispetto alle nostre stime del suo fair value di lungo periodo. Una volta superata l’attuale serie di shock macro, riteniamo che il rapporto EUR/USD possa recuperare almeno fino a 1,20 nei prossimi 5 anni.