Investimenti: Europa pronta a driblare gli Usa

“Le politiche fiscali di sostegno all’economia erogate da Europa e Cina presentano un moltiplicatore fiscale decisamente migliore rispetto a quello americano perché sono basate su investimenti. L’Europa ha un progetto fiscale come il Recovery Fund, mirato a sostenere gli investimenti per la transizione ecologica e la spinta sulla digitalizzazione. La Cina ha finanziato una politica fiscale mirata sulle infrastrutture con il piano “Urbanisation 2”. Gli Stati Uniti, invece, hanno finora speso 25 punti di Pil per erogare soltanto aiuti e sussidi a chi stava per fallire, ma non hanno ancora deliberato un piano strategico di sostegno durevole alla crescita e rischiano di ricadere in recessione non appena si esauriranno i sussidi erogati dall’ultimo piano fiscale di dicembre 2020”. È l’analisi di Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy Fund.

Il trend dell’economia mondiale ha aperto la fase di riassorbimento della perdita subita dal Pil nel corso del 2020. Al fine di rendere più eclatanti le cifre del recupero, la pubblicazione dei dati avviene confrontando i dati di oggi con quelli del marzo 2020, momento che ha coinciso con il culmine della caduta del Pil internazionale. Misurando le cose in questo modo, il Pil cinese è cresciuto del 18%, ma in realtà la crescita cinese tendenziale è scivolata sotto il 6% alla fine del primo trimestre di quest’anno. Europa e Giappone si stanno agganciando alla fase di ripresa del Pil mondiale, ma il recupero è meno significativo e più tardivo rispetto a Cina e Stati Uniti. L’economia Usa è in fase di recupero grazie agli stimoli fiscali erogati, pari al 25% del Pil, ma l’attuale rimbalzo è esposto a ricadute nel secondo semestre e gli Stati Uniti sono oggi l’area che offre incertezze maggiori riguardo al ciclo dell’economia.

Nel frattempo i rischi finanziari nel sistema continuano a crescere inesorabili e le vulnerabilità emergono un po’ ovunque in modo sempre più preoccupante. Il leverage per acquistare asset finanziari americani è ai massimi storici. Gli investitori privati hanno accumulato un debito di 950 miliardi di dollari per acquistare azioni a leva (quasi il 5% del Pil). Sommando questa leva a quella degli hedge fund, che gestiscono 3,5 trilioni di dollari, con una leva prudenziale stimata di due (Archegos era a 5 volte), arriviamo a oltre 4 trilioni di dollari, ovvero il 20% del Pil, senza tener conto della leva nel private equity e nel real estate.

“Il debito del settore privato è ai massimi di sempre e ci vorrà certamente altro debito per finanziare la crescita, ma guardando a quello che succede nei bilanci delle principali banche americane, si evince che il credito all’economia è ora in netta contrazione. È evidente che la crescita attesa dovrebbe basarsi prevalentemente sull’espansione del bilancio pubblico, dato che il settore privato è troppo indebitato per espandere ancora il debito. È proprio su questo punto fondamentale che si è aperto uno scontro feroce tra Democratici e Repubblicani: i primi vorrebbero finanziare la spesa con l’aumento delle tasse sulla corporate America e sulle fasce più ricche, mentre i secondi vorrebbero far finanziare il nuovo debito alla Fed con un perenne Quantitative Easing. Da come l’America deciderà di finanziare il proprio debito dipenderà il futuro del dollaro, dei Treasuries e anche della borsa Usa, ma sarà di fondamentale importanza anche per l’economia e per i futuri equilibri finanziari mondiali”, conclude Novelli.