Alessandro Fugnoli, strategist e Guido Brera, direttore investimenti, entrambi di Kairos, spiegano di seguito come l’Italia stia per affrontare un cambiamento epocale, alla luce degli importanti investimenti resi possibili dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Siamo di fronte ad un cambiamento epocale. Larry Summers in un suo recente paper di gennaio l’ha definito “una vera e propria rivoluzione”, perché segna il passo dalle politiche di austerity, cosiddette politiche legate all’offerta che sono partite circa a metà degli anni Ottanta, a delle politiche più espansive, secondo l’approccio di Keynes, che prevedono un piano di interventi pubblici dello Stato. Come ci ricorda l’esperienza vissuta dal nostro Paese a cavallo tra le due guerre, l’Italia risulta vincente in un contesto in cui lo Stato è protagonista, dove gli investimenti pubblici regnano, dove c’è un’espansione del bilancio, cioè si va a deficit pur di cercare una crescita superiore ai tassi di interesse a cui ci si finanzia. Ricordiamo che l’Italia, anche come Borsa e come Sistema, negli ultimi 25 anni è stata praticamente sempre in declino rispetto agli altri Paesi. Il cambiamento già epocale di per sé, sarà amplificato dal Recovery Plan o dal Piano di Ripresa e Resilienza.
Vediamo in dettaglio le cifre del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza presentato dall’Italia. Sono in totale 220 miliardi di euro, l’11% del PIL italiano, distribuiti nei prossimi 4 anni e di questi 220 miliardi, 30 miliardi li mette l’Italia come investimenti aggiuntivi rispetto ai programmi che aveva in precedenza, mentre 190 miliardi sono messi a disposizione dall’Europa. Due cose mi preme considerare: la prima è che l’Europa non ci sta regalando dei soldi, di questi 190 miliardi, che sono i famosi 209 miliardi di cui abbiamo parlato tutto l’anno scorso – che non sono però una cifra rigida perché verrà rivista periodicamente a seconda dell’andamento dell’occupazione, dell’epidemia e di altri parametri – 120 miliardi sono rappresentati da una linea di credito per l’Italia che si è riservata la possibilità di non utilizzare nei prossimi anni qualora l’indebitamento diretto sul del mercato attraverso i BTP risultasse particolarmente conveniente. I restanti 70 miliardi ci vengono dati sotto forma di un sussidio, però anche qui non si tratta di un regalo puro e semplice perché l’Italia è un contributore netto dall’Unione, cioè dà più soldi all’Unione di quelli che riceve e quindi, così come la Thatcher a suo tempo negoziò con l’Unione la restituzione di quanto il Regno Unito aveva versato in più, così sarà anche per l’Italia, che in pratica riceverà indietro la quota versata in disavanzo all’Unione. Alla fine è chiaro che l’aiuto europeo è molto inferiore ai 200 miliardi di cui si parla. L’aspetto più importante e significativo è però legato al totale cambiamento di approccio dell’Europa nei confronti dell’Italia, perché si passa dalla linea di austerità mantenuta per tutto il decennio scorso, a causa della quale il bilancio pubblico ha sacrificato gli investimenti pubblici per ottenere una diminuzione del disavanzo, ad una linea che oggi permette all’Italia di indebitarsi per fare investimenti pubblici. Questo è un aspetto molto importante che porterà ad un aumento del livello di PIL del 3% alla fine dell’intera operazione. Questo può sembrare poco, ma è importante anche per la dinamica del rapporto tra debito e PIL, infatti le proiezioni del Governo italiano danno un rapporto debito/PIL in diminuzione, cioè nonostante il forte indebitamento aggiuntivo, la crescita in più permette di migliorare il rapporto tra debito e PIL, quindi esattamente il contrario di quello che avvenne nel decennio passato dove l’austerità colpendo il PIL ha fatto sì che rapporto debito/PIL sia in realtà aumentato nonostante l’austerità. Questa volta nonostante investiamo di più, riusciremo a ridurre il rapporto debito/PIL vicino al 155% alla fine del ciclo. Questo piano è suddiviso per a grandi linee in due direzioni: la transizione energetica e la digitalizzazione. Abbiamo molto bisogno soprattutto della digitalizzazione, il 5G è una necessità se vogliamo rimanere competitivi, in Cina stanno già studiando il 6G e quindi è importante che ci manteniamo aggiornati su queste tecnologie; il restante 50% è in educazione, istruzione, una quota minore in sanità.
Le stime prevedono che l’Italia crescerà quest’anno del 4% all’incirca, l’anno prossimo altrettanto, forse anche un po’ di più, e nei due anni successivi restanti del Piano vedrà comunque con una crescita del 2%, che è parecchio superiore alla media del decennio scorso. Si tratta di un contesto di crescita a cui non siamo più abituati.
È quindi importante posizionarsi per cogliere al meglio questa opportunità. Kairos si è posizionata da tempo essenzialmente in due modi: uno trasversale, cioè sulle orme del Next Generation Plan, transizione ecologica, digitalizzazione, che sono oggi i cardini dei fondi KIS Climate Change ESG e KIS New Era ESG (prima ancora il fondo KIS ActivESG), lanciati appositamente per cavalcare questo nuovo modo di intendere il rapporto Stato e Mercati e riparare i danni che il capitale stesso ha causato negli ultimi 20 anni al Pianeta attraverso una globalizzazione molto accelerata. Stiamo infatti attraversando una fase in cui i flussi di capitale vengono guidati verso investimenti più sostenibili. Kairos si sta inoltre muovendo esclusivamente sull’Italia, che va dalla parte di titoli più liquidi, con il fondo KIS Italia PIR, per investire proprio alla luce degli sviluppi legislativi e degli incentivi fiscali introdotti. Con il fondo KIS Patriot investiamo invece nei titoli più piccoli, small e mid cap, e siamo in chiusura con il fondo KAIS Renaissance ELTIF con una raccolta di 50 milioni di euro, che investe in asset liquidi e illiquidi, dove ci sono le più grandi sacche di inefficienza del nostro Paese. In ultimo, per completare la nostra gamma d’offerta per investire sull’asset Italia, stiamo per lanciare un Venture Capital.