Ecco perchè il mercato continua a prezzare un prossimo taglio dei tassi Usa

Tre dei quattro maggiori fallimenti bancari nella storia degli Stati Uniti ha avuto luogo negli ultimi due mesi. Eppure il sistema bancario rimane stabile. L’ultimo evento è stato il fallimento della First Republic Bank, con sede nel nord della California. C’è stato un massiccio deflusso di depositi di 100 miliardi di dollari (la banca ha attività per 229 miliardi di dollari) poiché i clienti temevano che l’ampio portafoglio di mutui della banca per ricchi proprietari di case sarebbe diventato problematico a causa dell’aumento dei tassi di interesse.

Alla fine, JPMorgan ha acquisito i prestiti della banca. I depositanti saranno protetti mentre gli azionisti saranno spazzati via. La Federal Deposit Insurance Corporation ha partecipato al salvataggio. Il CEO di JPMorgan, Dimon, ha affermato che questa parte della crisi è finita. In realtà, questo dovrebbe essere il modo in cui il sistema dovrebbe funzionare per evitare i fallimenti bancari.

L’operazione è stata evidentemente accolta con favore dagli investitori che temevano che un fallimento più dirompente avrebbe avuto gravi ripercussioni, causando l’ennesima crisi bancaria. I prezzi delle azioni sono infatti rimasti sostanzialmente stabili così come i rendimenti dei titoli di Stato. Anche gli spread che misurano il rischio sono rimasti stabili, essendo saliti quando la Silicon Valley Bank è fallita e poi ritornati a un livello inferiore quando le autorità sono intervenute rapidamente. Sebbene ci siano altre banche di medie dimensioni note per essere problematiche, la buona notizia è che, finora, i timori sulla stabilità di tali banche non stanno avendo un impatto negativo sulla stabilità dei mercati finanziari.

Quindi tutto bene? Purtroppo la risposta è negativa. Molte banche di medie dimensioni sono fortemente esposte a prestiti per esempio per uffici e centri commerciali, dei quali faranno sempre più fatica ad essere redditizi e rimborsare i prestiti (le cui rate sono sempre più care), poiché le persone lavorano e fanno acquisti sempre più spesso da remoto. Il risultato potrebbe essere una sostanziale svalutazione di quei prestiti, mettendo così pressione sulle banche che hanno già visto un grande esodo di depositi. Con la contrazione degli attivi delle banche di medie dimensioni, la disponibilità di credito per le piccole e medie imprese potrebbe interrompersi.

L’esposizione delle banche in difficoltà è iniziata, come noto, dopo che la FED ha alzato con violenza i tassi di interesse (500 bp dall’inizio della stretta monetaria). Storicamente non dovrebbe essere una sorpresa, visto che era già accaduto. La restrizione del credito conseguente ai crescenti tassi sta avendo sull’economia lo stesso effetto che avrebbe avuto un ulteriore inasprimento della FED. Dal suo punto di vista, un ulteriore inasprimento potrebbe quindi non essere necessario se i mercati stanno già facendo il loro lavoro. Pertanto, è ragionevole aspettarsi che la FED possa presto interrompere il processo di aumento dei tassi di interesse.

Una volta che ciò accadrà, le banche in difficoltà saranno in una posizione migliore per diventare stabili, possibilmente attraverso l’acquisizione o l’ottenimento di iniezioni di capitale. In ogni caso, la probabile traiettoria della FED implica una minore probabilità (rischio) di un’ulteriore crisi del sistema bancario.

Non è stata una sorpresa quando il 3 maggio scorso la FED ha alzato i tassi di interesse di 25 bp in un intervallo compreso tra il 5% e il 5,25%. Il continuo inasprimento della politica monetaria ha, come noto, lo scopo di soffocare la pressione inflazionistica. Powell ha detto che le aspettative di inflazione rimangono ben ancorate. Questo è importante perché l’ancoraggio delle aspettative è uno dei principali obiettivi della politica monetaria. Nel frattempo, l’inflazione è rallentata a causa del miglioramento delle catene di approvvigionamento, del calo dei prezzi delle materie prime e dell’impatto della stretta della FED.

Se e in che misura la FED potrà ancora alzare i tassi di interesse dipenderà dai dati, come ha più volte indicato Powell. Tuttavia, la maggior parte degli osservatori, noi compresi, ora si aspetta che la FED si fermi per un po’. Dopo tutto, sono presenti diversi elementi favorevoli: la crisi bancaria sta indebolendo le condizioni del mercato del credito e la politica della FED, che agisce con ritardo, comincia ad avere gli effetti attesi. La decisione della FED è ora determinare se ha già fatto abbastanza per riportare la crescita dei prezzi al 2% e occorra solo aspettare, oppure continuare a drenare liquidità.

Sebbene Powell abbia suggerito che i tassi dovranno rimanere elevati per un po’, molti investitori la pensano però diversamente. Il percorso del tasso sui fondi federali implicito nei mercati dei futures suggerisce che la FED inizierà a tagliare il tasso a luglio/agosto, spingendolo al 3,5% entro gennaio. Perché gli investitori pensano questo? Forse si aspettano che la crisi bancaria peggiori, spingendo così l’economia in recessione, costringendo la FED ad allentare la politica monetaria per stabilizzare il sistema bancario. O forse si aspettano che l’inflazione diminuisca rapidamente, consentendo così alla FED di allentare la politica. O magari un mix delle due ragioni.

Ciò che appare sicuramente insolito è che, dopo aver aumentato il tasso sui FED Funds di 500 punti base, la disoccupazione rimane storicamente bassa. Un’altra cosa insolita è che, sebbene il numero di posti di lavoro vacanti sia diminuito, la disoccupazione rimane molto bassa. Powell ha osservato che il mercato del lavoro rimane sorprendentemente teso anche dopo che la politica monetaria ha indebolito i mercati del credito. Questo suggerisce la possibilità che la FED riesca a ridurre significativamente l’inflazione senza progettare un forte aumento della disoccupazione. Tuttavia, ha lasciato aperta la possibilità di un suo forte aumento segnalando come l’obiettivo principale rimanga il raggiungimento dell’obiettivo di inflazione. In ogni caso, Powell sostiene che c’è una buona probabilità che una recessione possa essere evitata.

Sia il mercato che la FED appaiono coerenti con le loro previsioni. Il primo si aspetta una flessione dei tassi nel 2023 a seguito di una recessione che è data probabile all’87%. La FED viceversa, che parla di probabilità di evitare la recessione, non ha mai parlato di riduzione dei tassi che in quell’ipotesi andrebbe a “rovinare” il lavoro fatto fino ad ora.

La crescita dell’occupazione negli USA è proseguita ad aprile a un ritmo sostenuto, mentre il tasso di disoccupazione è leggermente sceso al 3,4%. L’occupazione è cresciuta a un ritmo moderato in molti settori e non è dipesa in modo particolare dal settore del tempo libero e dell’ospitalità, come era avvenuto durante gran parte del periodo post pandemico. Pertanto, da questo punto di vista, l’economia sembra tornare gradualmente alla normalità. Nel frattempo, la crescita della retribuzione oraria media, dopo aver decelerato da marzo 2022 a gennaio 2023, sembra essersi stabilizzata negli ultimi tre mesi. Questa sarà probabilmente una fonte di preoccupazione per la FED.

Il diavolo si nasconde nei dettagli. Diamo allora un’occhiata ai dettagli. Il Governo Usa pubblica due rapporti sull’occupazione: uno basato su un’indagine sulle imprese e l’altro basato su un’indagine sulle famiglie. L’indagine sulle imprese ha indicato che, ad aprile, sono stati creati 253.000 nuovi posti di lavoro (crescita più forte da gennaio). La forza della crescita dell’occupazione, a cui ha accennato Powell nella sua ultima conferenza stampa, è insolita nel contesto di un significativo inasprimento della politica monetaria. Da un lato, potrebbe segnalare la necessità di un ulteriore inasprimento per sopprimere le pressioni inflazionistiche. D’altra, potrebbe invece indicare una nuova normalità in cui l’economia è indebolita mentre il mercato del lavoro rimane relativamente teso. Vedremo.

L’indagine sulle imprese ha esaminato anche i salari. La retribuzione oraria media è aumentata del 4,4% rispetto all’anno precedente, variazione in linea rispetto agli ultimi quattro mesi. Prima di gennaio, l’inflazione salariale è risultata in costante decelerazione dal picco del 5,9% dello scorso marzo. La domanda, quindi, è se il mercato del lavoro si stia bloccando. Se la produttività accelera, allora non sarebbe inflazionistico che i guadagni salariali superino l’inflazione. Eppure non è così.

Piuttosto, la FED sembra temere che, fintanto che il mercato del lavoro sarà teso, l’inflazione salariale non rallenterà ulteriormente, rendendo così più difficile far scendere l’inflazione dall’attuale 5%. Se questo fosse il pensiero della FED, allora potrebbe prendere in considerazione un ulteriore inasprimento monetario, anche se questo significa aumentare il tasso di disoccupazione.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim