Biden presidente Usa, le reazioni in Cina. Che cosa cambierà per l’Italia e l’Europa

Come d’abitudine i commenti ufficiali e sui media in Cina sono accomodanti sulla notizia della vittoria di Joe Biden alle elezioni presidenziali americane. Come riporta in una nota il think tank E40TT, i lati positivi per la Cina, secondo esperti e commentatori cinesi, sono almeno cinque:
1) negoziazioni bilaterali Usa e Cina meno emotive;
2) maggiore conoscenza della Cina da parte di Biden e, in generale, dei Democratici;
3) maggiori possibilità di trovare aree di cooperazione e non solo di conflitto;
4) gli Usa adotteranno nuovamente un approccio multilaterale non bilaterale come faceva Trump, uscendo, almeno nella forma dalla retorica di “America First” che però resterà nella sostanza;
5) Biden dovrebbe riallinearsi sul clima e su Paris Agreement, Who e Wto, e varie organizzazioni internazionali. Questo può essere positivo perché porta le negoziazioni su, appunto, piattaforme bilaterali.

In Cina non si fanno però illusioni sulla forte competitività tra sistema americano e quello cinese: Biden continuerà a cercare di arrestare la crescita cinese, insisterà sul Buy America, e ciò continuerà a creerà problemi all’export cinese. “Il vero problema che avvertono i cinesi nell’elezione di Biden”, osserva Michele Geraci, Professor of Practice in Economic Policy alla Nottingham University a Ningbo e Adjunct Professor alla New York University a Shanghai, testimone diretto dell’osservatorio previlegiato Asia e Atlantico, “è la visione ideologica del neo-Presidente, la sua fede nel liberismo commerciale e la difficoltà ad accettare che un Paese comunista possa essere superiore dal punto di vista economico e tecnologico rispetto agli Usa. Tuttavia, al di là della propaganda, il dialogo sui temi commerciali continuerà. Trump aveva firmato, il 15 gennaio scorso, gli accordi commerciali di Fase I con la Cina; anche gli Usa hanno fatto il loro MoU con la Cina confermando la volontà di mantenere i traffici commerciali con l’Asia, in particolare Cina dove, l’Fmi stima una crescita del Pil nel 2020 dell’+1,9%, che io stimo invece al 3%. Nella visione americana, Usa e Cina devono dialogare per non danneggiare interi settori produttivi e non intaccare negativamente i propri dati di import ed export”.

Per quel che riguarda le possibili conseguenze per nostro Paese, sono sia positive che negative. “E’ da accogliere con favore il fatto che Biden non abbia la fissazione del deficit commerciale, di cui l’Italia beneficia nei confronti degli Usa, non dimentichiamo infatti che questo Paese rappresenta più della metà del nostro surplus commerciale, 32 miliardi di dollari su un totale surplus dell’Italia di 59 miliardi”, continua Geraci, “quindi è probabile adotti una politica più ‘leggera’ con l’Unione Europea sui temi di commercio. E’ utile ricordare che una minor pressione sulla Cina, da Trump costretta ad acquistare di più Made in Usa, avrebbe spostato acquisti da parte della Cina dall’America. D’altro lato, però, è probabile che Biden spinga per un approccio sempre più liberista nel commercio, favorendo de-facto i paesi agili, con leggi sul lavoro flessibili, modello anglosassone. I paesi in ritardo a livello tecnologico o con ancora il mito del ‘lavoro fisso’, come l’Italia, saranno penalizzati se non si adotteranno a livello politico le necessarie contromisure. L’Italia deve quindi essere più proattiva in Commissione Europea dove si decidono le politiche commerciali come dazi e trattati di libero scambio. Deve quindi sviluppare analisi di impatto fattuali, dettagliate e basate sui numeri e non su ideologie. Un approccio che avevo introdotto al MiSE, ma che ora sembra, purtroppo per il nostro Paese, sia stato abbandonato dal responsabile al governo per le politiche commerciali”.

In ultimo ma non meno importante, il ruolo dell’Europa visto dalla Cina. “Nei momenti di cambiamento, si nascondono sempre delle opportunità. Al neo-presidente Biden, ideologicamente anti-Cina, l’Italia e l’Europa possono e devono proporre una visione pragmatica e più cooperativa tra i tre blocchi, Asia, America ed Europa: a una sterile contrapposizione è senza dubbio preferibile la ricerca di settori industriali su cui una cooperazione è possibile, come ad esempio il progetto europeo per lo sviluppo di reti ferroviarie, Ten, e, come dico da 10 anni, cooperare per lo sviluppo dell’Africa che tutti, per tanti motivi, etici, economici e migratori, desideriamo diventi un continente prospero”.

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